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Sommerso e attività illegali valgono 211 miliardi di euro

ROMA – Nel 2017 il valore aggiunto generato dall’economia non osservata, ovvero dalla somma di economia sommersa e attività illegali, si è attestato a poco meno di 211 miliardi di euro (erano 207,7 nel 2016), con un aumento dell’1,5% rispetto all’anno precedente, segnando una dinamica più lenta rispetto al complesso del valore aggiunto, cresciuto del 2,3%. Lo ha reso noto l’Istat nel report “L’economia non osservata nei conti nazionali”.

L’incidenza dell’economia non osservata sul Pil si è perciò lievemente ridotta portandosi al 12,1% dal 12,2% nel 2016, e confermando la tendenza in atto dal 2014, anno in cui si era raggiunto un picco del 13%. La diminuzione rispetto al 2016 è interamente dovuta alla riduzione del peso della componente riferibile al sommerso economico (dal 11,2% al 11,1%), mentre l’incidenza dell’economia illegale resta stabile (1,1%). Nel 2017, le attività illegali considerate nel sistema dei conti nazionali hanno generato un valore aggiunto pari a 18,9 miliardi di euro, con un incremento di 0,8 miliardi rispetto all’anno precedente.

I consumi finali di beni e servizi illegali sono risultati pari a 20,3 miliardi di euro (+0,9 miliardi rispetto al 2016), che corrispondono all’1,9% del valore complessivo della spesa per consumi finali.

Tra 2014 e il 2017 l’incremento delle attività illegali è stato pari a 2,4 miliardi per il valore aggiunto e 2,7 miliardi per la spesa per consumi finali delle famiglie (con una crescita media annua rispettivamente del 4,7 e 4,9%).

La crescita delle attività illegali è determinata prevalentemente dal traffico di stupefacenti. Nel 2017 il valore aggiunto sale a 14,4 miliardi di euro e la spesa per consumi raggiunge i 15,7 miliardi di euro. Nel corso dell’intero periodo l’incremento medio annuo per entrambi gli aggregati è di circa 5,8 punti percentuali.

Nel periodo di riferimento è modesta la crescita dei servizi di prostituzione. Nel 2017 sia il valore aggiunto sia i consumi si attestano a 4,0 miliardi di euro, livelli sostanzialmente invariati rispetto al 2014.

L’attività di contrabbando di sigarette nel 2017 rappresenta il 2,5% del valore aggiunto complessivo (0,5 miliardi di euro) e il 3,2% dei consumi delle famiglie (0,7 miliardi di euro).

Le attività illegali possono interagire con quelle legali non dichiarate al fisco. Questo è il caso del traffico di stupefacenti che genera un indotto di servizi (per lo stoccaggio di merci e il trasporto di merci su strada e via acqua) che nel periodo 2014-2017 è cresciuto passando da un valore aggiunto di 1,2 miliardi a 1,3 miliardi.

Tornando al sommerso economico, l’Istat rileva che il 41,7% di questo si concentra nel settore del commercio all’ingrosso e al dettaglio, trasporti e magazzinaggio, attività di alloggio e ristorazione, dove si genera il 21,4% del valore aggiunto totale.

Analogamente l’incidenza relativa del ricorso al sommerso è alta negli Altri servizi alle persone ed è pari al 12,3% del sommerso economico, pur contribuendo il settore solo per il 4,1% alla formazione del valore aggiunto totale. All’opposto, il settore degli altri servizi alle imprese contribuisce al valore aggiunto dell’intera economia per il 27,2% mentre il suo peso in termini di sommerso è del 12,7%. Anche le attività di Produzione di beni intermedi e le attività di Produzione di beni di investimento contribuiscono all’economia sommersa in misura più ridotta (0,8% e 2,1% rispettivamente) cheal valore aggiunto complessivo (6,4% e 6,7%).

Anche i dati relativi ai lavoratori irregolari in Italia sono tutt’altro che trascurabili. Nel 2017, dice l’Istat, sono 3 milioni e 700 mila le unità di lavoro a tempo pieno in condizione di non regolarità, occupate in prevalenza come dipendenti (2 milioni e 696 mila unità). L’aumento della componente non regolare (+0,7% rispetto al 2016) segna la ripresa di un fenomeno che nel 2016 si era invece attenuato (-0,7% rispetto al 2015).
“Il ricorso al lavoro non regolare da parte di imprese e famiglie è – si legge nel report – una caratteristica strutturale del mercato del lavoro italiano. Sono definite non regolari le posizioni lavorative svolte senza il rispetto della normativa vigente in materia fiscale-contributiva, quindi non osservabili direttamente presso le imprese, le istituzioni e le fonti amministrative”.