Il caso dello stupro di gruppo di Palermo si è trasformato rapidamente in una “bomba social“, con gente senza scrupoli “a caccia” di immagini e video, profili fake dal contenuto misterioso e nomi in bella vista (e non si parla solo di quelli degli indagati). La curiosità e l’ossessione, però, potrebbero costare molto agli utenti dei social che decidono di agire in modo sconsiderato sul web, andando oltre i limiti della legge per avere informazioni e contenuti a tutti i costi.
La storia ha toccato l’intera comunità e si sono espressi in tanti tra cantanti (Ermal Meta, per fare un esempio), personaggi dello spettacolo, docenti e psicologi, associazioni e massimi esponenti della politica di ogni “colore”. Considerata la vasta eco mediatica del drammatico episodio, però, a intervenire e avvertire sulle conseguenze della ricerca compulsiva di contenuti online adesso è direttamente il Garante della Privacy.
In una nota, il Garante privacy mette in guardia “sulle conseguenze, anche di natura penale, della diffusione e condivisione dei dati personali della vittima dello stupro di Palermo e dell’eventuale video realizzato. A seguito di numerose notizie stampa su una ‘caccia alle immagini’ scatenatasi nelle chat, l’Autorità – con due provvedimenti d’urgenza – ha rivolto un avvertimento a Telegram e alla generalità degli utenti della piattaforma, affinché venga garantita la necessaria riservatezza della vittima, evitando alla stessa un ulteriore pregiudizio connesso alla possibile diffusione di dati idonei a identificarla, anche indirettamente, in contrasto, peraltro, con le esigenze di tutela della dignità della ragazza”.
“Il Garante ricorda che la diffusione e la condivisione del video costituiscono una violazione della normativa privacy, con conseguenze anche di carattere sanzionatorio, ed evidenzia i risvolti penali della diffusione dei dati personali delle persone vittime di reati sessuali (art. 734 bis del codice penale)”.
Da quando si è diffusa la notizia dello stupro di gruppo di Palermo e dei 7 arresti connessi, il mondo dei social è letteralmente “impazzito”. Dalla diffusione dei nomi degli indagati e delle terribili intercettazioni sulla violenza sessuale, è scattata immediatamente la ricerca delle foto degli arrestati, che in tanti hanno condiviso con insulti, minacce e/o considerazioni personali sull’accaduto.
Poi, però, parte del mondo del web è andato oltre, cercando di accedere ai video dello stupro di Palermo. L’interesse è innegabile. Su YouTube, basta cercare la parola “Palermo” per trovarsi suggerimenti sul caso di cronaca; su Telegram, invece, è ormai nota la presenza di gruppi con migliaia di iscritti che promettono la possibilità di scaricare foto e video. Il resto dei social, poi, è una “giungla” di commenti. Soprattutto su TikTok la vicenda è diventata un caso: da una parte ci sono i presunti messaggi degli indagati (forse, anzi probabilmente, da profili fake), dall’altro quelli della vittima dello stupro di Palermo. Tutto sotto gli occhi di chiunque, compreso il nome della ragazza che – per legge – dovrebbe essere tutelato.
E non bastano le belle iniziative – come le testimonianze raccolte dalla scrittrice Carolina Capria con l’hashtag #yesallwomen – per coprire l’orrore di chi, invece, vuole conoscere morbosamente ogni dettaglio. Quasi come se conoscere il nome della vittima aggiungesse o togliesse qualcosa alla gravità del fatto. O come se si cercasse un elemento per spiegare una vicenda sconvolgente e spaventosa nell’identità dei coinvolti.
Foto di Erik Lucatero da Pixabay , di repertorio