ROMA – Dal primo gennaio 2024 tutto il Mezzogiorno sarà una vasta, enorme, Zona economica speciale. Un’opportunità per superare quell’atavico ritardo tra Nord e Sud che tutti i Governi, dall’Unità d’Italia ai giorni nostri, non hanno mai saputo colmare. Secondo le stime di The European House Ambrosetti, almeno potenzialmente, questa “Super Zes” potrebbe avere un impatto superiore agli 80 miliardi di euro. Cifre che fanno ben sperare, ma che dovranno superare la prova dei fatti e, in particolare, un ostacolo indicato da più parti tra gli addetti ai lavori: l’allontamento dai territori che è il prezzo da pagare in cambio di un maggiore coordinamento e di una strategia complessiva, almeno ipoteticamente, più armoniosa. Non si va più in ordine sparso, anche se proprio negli ultimi tempi, le Zone economiche speciali avevano preso un buon ritmo di marcia.
Istituite nel 2017, le Zes sono state rese operative nel 2021 con le nomine dei Commissari locali ai quali, nei mesi successivi, è stata affiancata la struttura commissariale. “Il lancio delle Zes italiane – spiega Teha nel suo rapporto – ha generato tra il 2021 e il 2023 un significativo impatto economico positivo sia sul territorio sia sul resto dell’economia, con moltiplicatori in termini di Valore Aggiunto e di crescita occupazionale generati che raggiungono livelli di “best practice” a livello internazionale.
Dallo studio di Teha, emerge come “dal suo avvio la Zes Campania è riuscita ad attrarre investimenti per circa 900 milioni di euro tramite l’Autorizzazione Unica e 1,1 miliardi di euro con lo strumento del credito di imposta. Questo risultato, che è stato perseguito dal Commissario Zes come prioritario in virtù di condizioni favorevoli di partenza di natura industriale e infrastrutturale, ha beneficiato in particolare i settori dei servizi di logistica e della farmaceutica e ha generato una ricaduta positiva sull’occupazione locale stimata di oltre 8.000 persone”.
Ancora più rilevanti, gli effetti positivi generati dalle attività delle filiere in totale (sommando effetto diretto, indiretto e indotto). Secondo le stime di Teha “gli investimenti attratti dalla Zes Campania attiveranno 23 miliardi di euro in termini di Valore Aggiunto e oltre 20.000 posti di lavoro. In Calabria, l’attenzione e le azioni del Commissario Zes sono state indirizzate, invece, alla rapida implementazione delle opere infrastrutturali e alla messa in sicurezza delle aree industriali, con l’impiego di fondi e investimenti per 19,9 milioni di euro”.
Anche la Sicilia ha visto crescere la sua attrattività, come spiegano nella pagina seguente i due commissari intervistati dal QdS. A Palermo, in particolare, tra fondi Pnrr assegnati alla Zes della Sicilia occidentale e quelli del Comune di Palermo e altri enti, si sta lavorando “su infrastrutture per circa 80 milioni di euro di appalti”. Nell’altra metà dell’Isola, si stima di chiudere quest’anno con investimenti intorno a 350-400 milioni, un risultato superiore al 2022 quando già si era superato il tetto dei 200 milioni di euro.
La cabina di regia prevista dalla legge avrà ora il compito di far crescere questi risultati, ma da un prospettiva totalmente diversa. Cambia “radicalmente la filosofia – ci spiega il professore Alessandro Di Graziano, commissario della Zes della Sicilia orientale – perché si passa da uno strumento di politica industriale concepito per valorizzare esperienze locali, quelle che si definiscono ‘bottom-up’, a uno centralizzato, quindi ‘top-down’, e questa ha diverse implicazioni intanto perché nelle varie Zes che esistono nel mondo non c’è un esempio analogo ed è necessario capire come potrà funzionare. Il fatto che si aprano i parametri della Zes è sicuramente positivo perché segno che ha funzionato. Centralizzare e coordinare le misure d’investimento è sicuramente positivo ma centralizzare l’operatività rischia di diventare inapplicabile proprio per la diversa peculiarità del territorio”.
E dunque ora nei decreti attuativi occorrerà prevedere dei bilanciamenti per coinvolgere i territori e, per dirla con Di Graziano, “definire la politica industriale del Sud nell’ottica delle singole regioni. Si tratta di un processo in divenire e posso solo dire che fino ad ora ha funzionato per il futuro dovremmo capire cosa succederà”. Insomma, fatta la Zes unica o “Super Zes”, la vera partita si apre adesso.
Con l’ultimo passaggio in Senato, con l’apposizione della fiducia da parte del governo, è diventato legge, con 102 voti a favore e 64 contrari, il c.d. Dl Sud, quel decreto recante le disposizioni urgenti in materia di politiche di coesione, per il rilancio dell’economia nelle aree del Mezzogiorno del Paese, nonché in materia di immigrazione. Il provvedimento, giunto nell’Aula di palazzo Madama, è composto da 23 articoli ripartiti in sei capi.
Tra le misure contenute, il testo istituisce la Zes unica per il Mezzogiorno, che comprende i territori delle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sicilia e Sardegna, e prevede l’istituzione, presso la presidenza del Consiglio dei ministri, di una cabina di regia Zes, che vedrà il coinvolgimento dei presidenti delle Regioni, con compiti d’indirizzo, coordinamento, vigilanza e monitoraggio, e di una specifica Struttura di missione per la Zes.
Nella legge troviamo inoltre misure in tema di rafforzamento della capacità amministrativa in materia di Politiche di coesione attraverso la ridefinizione dei criteri e delle modalità di impiego e di gestione delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione per la programmazione 2021-2027, con l’introduzione dello strumento dell’Accordo per la coesione, in sostituzione dei Piani di sviluppo e coesione. Il provvedimento reca, inoltre, una strategia nazionale per lo sviluppo delle aree interne, con la creazione di una cabina di regia, che vedrà la presenza anche del presidente della Conferenza delle Regioni, dell’Unione delle province italiane e dell’Anci.
La Zes unica va a sostituire in maniera integrale l’attuale struttura delle Zes che, fino al 1° gennaio 2024, è articolata in maniera territoriale. Per definire le priorità e l’indirizzo di questi investimenti sarà stilato il Piano della Zes unica, che “ha durata triennale e definisce, anche in coerenza con il Pnrr, la politica di sviluppo della Zes unica, individuando, anche in modo differenziato per le regioni che ne fanno parte, i settori da promuovere e quelli da rafforzare, gli investimenti e gli interventi prioritari per lo sviluppo della Zes unica e le modalità di attuazione”.
Oltre alla creazione di un portale web e di uno “sportello unico digitale Zes”, cui si potranno rivolgere per assistenza le imprese, la legge prevede regimi fiscali agevolati e procedure burocratiche semplificate per le aziende del territorio: per far partire un’attività basterà l’autorizzazione unica e lo Stato darà un contributo sotto forma di credito d’imposta per progetti d’investimento, di importo non inferiore a 200mila euro, che prevedono l’acquisto di nuovi macchinari, impianti e attrezzature varie destinati a strutture produttive oppure relativi all’acquisto di terreni e all’acquisizione, alla realizzazione ovvero all’ampliamento di immobili strumentali agli investimenti.
Riguardo al “Dl Sud” approvato sia alla Camera e al Senato, e dunque legge dello Stato, interviene al QdS Carolina Varchi, deputato e responsabile Politiche per il Mezzogiorno di Fratelli d’Italia.
Onorevole, nella legge si fa riferimento all’assunzione di circa 2.200 unità con contratto di lavoro a tempo indeterminato, personale non dirigenziale. Non era meglio prevedere, invece, l’accesso di personale con competenze specifiche, vista l’incapacità di progettazione dimostrata in occasione della stesura dei progetti del Pnrr?
“In realtà il livello non dirigenziale non riguarda le competenze, al contrario, il personale che sarà individuato si occuperà proprio delle politiche di coesione e in particolare dei progetti relativi alla spesa dei fondi europei. Sarà selezionato sulla base delle competenze già maturate e poi formato attraverso corsi specifici finalizzati all’utilizzo appunto dei Fondi che servono per colmare il gap tra le zone meno ricche e il resto d’Italia e d’Europa. Vorrei sottolineare, poi, l’importanza di questo provvedimento sotto altri due aspetti. Il primo: come lei dice giustamente, le assunzioni saranno a tempo indeterminato, questo significa che non si selezionerà semplicemente personale per svolgere una funzione ristretta nel tempo e nelle competenze, ma si porterà a termine una vera e propria opera di ringiovanimento delle Pa, un’esigenza avvertita a più livelli dopo anni di turn over fermo. Il secondo aspetto è invece relativo alla sostenibilità economica: queste assunzioni saranno finanziate proprio dai fondi europei fino al 2029, quindi le amministrazioni che assumeranno personale non pagheranno nulla per i primi cinque anni”.
Zes unica. Sembra che si tratti di una misura “a tempo”. E dopo il 2026 cosa succederà?
“Questa è una misura del tutto innovativa e per certi versi sperimentale. Noi ci auguriamo che possa diventare strutturale, anche perché l’approccio di questo governo, su tutti i provvedimenti, è quello di evitare una logica emergenziale e di lavorare nel medio-lungo termine. Ma sono fiduciosa: sono convinta che gli effetti positivi saranno tali da rendere impossibile, dal punto di vista logico e dei benefici per la Nazione sotto il profilo degli investimenti, un ritorno al passato”.
Sempre a proposito della Zes unica, la centralizzazione della c.d. cabina di regia potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio?
“Noi riteniamo che la centralizzazione sia utile quanto necessaria per coordinare gli interventi, per evitare sovrapposizioni e per portare avanti, in definitiva, una strategia di sviluppo coerente e unitaria. Ma il decreto, allo stesso tempo, prevede ampie e diverse forme di coinvolgimento degli enti locali. Dalle Regioni, che prenderanno parte alla cabina di regia e stileranno insieme alle istituzioni statali il ‘Piano degli interventi’, fino alle amministrazioni delle aree interne che verranno affiancate e aiutate per contrastare il fenomeno dello spopolamento. Insomma, questa sarà una centralizzazione virtuosa, utile a dare un indirizzo comune, ma i singoli soggetti locali avranno spazio e luoghi per indicare, suggerire e decidere”.
A proposito, invece, del Fondo Sviluppo e Coesione, quali sono le novità rilevanti?
“Sono diverse, ma ne indicherei una su tutte. È l’introduzione degli ‘Accordi di coesione’. Serviranno per definire un percorso di programmazione condivisa, sia per quanto riguarda le risorse assegnate alle Amministrazioni centrali, sia per quanto riguarda le risorse assegnate alle Regioni. Assicureranno l’unitarietà strategica degli interventi, il pieno rispetto delle finalità dei fondi, connesse alla riduzione dei divari territoriali, nonché una maggiore efficacia degli interventi stessi. Infine, le amministrazioni saranno responsabilizzate perché dovranno dire sin dall’inizio quali interventi intendono fare ed impegnarsi con cronoprogramma stringente”.
Le modifiche alla legge di bilancio che avete previsto riusciranno a fornire quanto necessario per trasformare questo provvedimento in uno strumento operativo?
“Come detto, lo strumento è assolutamente nuovo e verrà ‘misurato’ nei mesi che verranno. Noi riteniamo che le risorse stanziate al momento siano sufficienti, ma se dovessero servirne altre perché i risultati saranno positivi oltre ogni previsione, saranno reperite. Anche perché la richiesta di altri fondi sarebbe il segnale chiaro della riuscita della misura”.
Ritiene che potranno esserci rischi per l’autonomia differenziata?
“Non vedo alcun rischio particolare, e lo dico da deputata del Sud. Semmai, dobbiamo vedere l’Autonomia differenziata come una grande occasione per il Mezzogiorno: quella di chiudere l’epoca del Sud piagnone e assistenzialista. Potrebbe dare la scossa a un territorio che ha grandi qualità, anche sotto il profilo delle risorse umane. È il momento di prendere in mano il nostro futuro”.
Che fine farà il piano “Resto al Sud”? Non sarebbe potuto diventare un’estensione di questo intervento per renderlo strutturale?
“Intanto, stando agli attuali finanziamenti, il programma sarà finanziato per un altro anno circa, fino al settembre del 2024. Dopo quella data, valuteremo se utilizzare altre forme di finanziamento per sostenerlo”.
Commissario, ora il Dl Sud, dopo l’approvazione al Senato, è legge. Inizierei facendo il punto sulla Zes Sicilia occidentale…
“Nel complesso posso dire che è andata bene, in questi due anni scarsi, perché è stato necessario metter in piedi un’architettura istituzionale che non esisteva. Mi sono insediato alla fine del 2021 ma la struttura commissariale si è concretizzata solo nel marzo 2022 e lo ‘sportello’ è diventato attivo nel mese di giugno. Da quel momento fino a oggi abbiamo rilasciato 21 autorizzazioni e altre 25 sono in corso. Tra fondi Pnrr assegnati direttamente a noi e quelli del Comune di Palermo e altri, stiamo lavorando su infrastrutture per circa 80 milioni di euro di appalti. In questo periodo abbiamo incontrato oltre 500 imprese e, soprattutto, abbiamo reso operativo uno strumento che prima non esisteva”.
Problemi incontrati?
“Rispetto all’attrazione delle imprese, a fronte di una estensione disponibile complessiva di 1870 ettari solo poco più di 200 sono disponibili per investimenti, a causa di mancate assegnazioni e vincoli di indisponibilità di oltre 600 ettari. Inoltre la Regione siciliana, nella scrittura del Piano strategico, aveva indicato dei codici di attività specifici per gli interventi, quindi abbiamo dovuto rigettare richieste che non erano compatibili con questi codici di attività, elemento che ci ha impedito di approvare interventi”.
È previsto che, dal 1° gennaio 2024, la Zes unica sarà operativa. Sarà così?
“Di fatto all’art. 22 si specifica che è pur vero che dal 1° gennaio sarà operativa la Zes unica ma, in mancanza del Dpcm attuativo, la gestione continuerà ad essere gestita dai Commissari. Quindi partirà ma con un carico gestionale a carico dei Commissari. Le faccio un esempio, per quanto riguarda la mia Zes dovrò gestire 110 comuni anziché i 24 originari, sempre con le medesime risorse”.
Sarà meglio o sarà peggio?
“Ritengo che la Zes unica sarà un miglioramento di un sistema che necessitava di un maggiore coordinamento tra le Zes e di un superamento degli attuali perimetri. Bisognerà però vedere come i Dpcm organizzeranno il lavoro perché, a fronte di un aumento esponenziale delle domande e aldilà del lavoro che potranno continuare a fare i Commissari locali finché saranno insediati, una struttura centrale potrebbe non essere adeguata a fronte di un lavoro così ampio. Tenga conto che oggi, ipotizzando che ogni singola Zes abbia oggi una struttura commissariale di 10-20 unità, le risorse disponibili messe a disposizione dalla legge saranno, nel suo complesso sette unità”.
A proposito dell’impatto occupazionale, i 2200 posti di lavoro indicati dovranno essere messi a concorso e, ancora una volta, ci saranno tempi di esecuzione che rischiano di rallentare il sistema…
“In realtà le risorse direttamente interessate alla gestione della Zes unica probabilmente saranno presi dalla defunta ‘Agenzia della Coesione’ più una serie di comandati. Il tema è la cessazione del lavoro dei Commissari perché nel periodo di transizione potremo lavorare solo con le risorse oggi disponibili”.
Quando il tutto sarà a regime, sarà sotto il controllo centralizzato, anche perché non è previsto un coordinamento locale come succede oggi. Aumenterà l’aspetto burocratico del sistema Zes?
“Sulla base della mia esperienza le relazioni locali sono importanti, sia con la Regione, i Comuni e il tessuto imprenditoriale. Non si può escludere che un approccio digitale potrà essere di conforto alla mancanza di una struttura territoriale ma, ancora una volta, questo potrà essere previsto dai Dpcm”.
Gli interventi inferiori ai 200.000 euro sono penalizzati perché non possono accedere al credito d’imposta. Rischiamo di lasciare scoperte tante piccole realtà che, con altre misure, erano coinvolte?
“Per la mia esperienza investimenti al di sotto di questa cifra non ne abbiamo mai trattati. Da questo punto di vista dobbiamo capire se la Zes dovrà essere uno strumento attrattivo di strumenti consolidati al di sopra di una certa soglia o uno strumento solo territoriale che miri a qualsiasi intervento. L’aspetto significativo, a mio giudizio, più che l’incentivo economico è stato quello amministrativo perché siamo riusciti a dare autorizzazioni in 30 giorni a imprenditori consolidati. Questo aspetto ci ha permesso, in tempi brevi, di dare concretezza a interventi che, in passato, erano proprio vittima dei tempi burocratici e che, proprio grazie alla Zes sono riusciti a iniettare sul territorio ricchezza”.
L’utilizzo dei fondi europei residui può essere un plus di questa legge?
“In realtà questo era già previsto con le Zes attuali. A questo aspetto, purtroppo, a causa dell’incapacità di spesa cronica, potrà essere solo data risposta dal Piano strategico della Zes unica. Le faccio il caso di Caltanissetta, nella cui zona industriale c’è un depuratore che non funziona e questo ci ha impedito di rilasciare autorizzazioni a seguito di una carenza infrastrutturale”.
Partirei da una sua valutazione complessiva di questa legge, anche alla luce della sua esperienza con Commissario della Zes Sicilia orientale?
“L’esperienza maturata, sia su scala locale ma anche su scala globale, dimostra che le Zes, se sono adeguatamente progettate possono favorire lo sviluppo dei territori e delle aree più svantaggiate. La Zes che gestisco dal dicembre 2021 è caratterizzata dalla presenza di un’area portuale, da alcuni riferimenti relativi alla relazione tra infrastrutture logistiche e industriali con le merci e ha una visione incentrata sul favorire i processi di centralità del mediterraneo. Ha prodotto risultati interessanti perché al dicembre 2021, anno in cui è nata in Sicilia, l’investimento lordo era stato di 58 milioni di euro mentre a chiusura del 2022, con la Zes operativa, sono diventati 215”.
È presto per parlare dei dati del 2023?
“Anche a fronte delle 24 autorizzazioni emesse e degli oltre 100 incontri con imprenditori nazionali e stranieri che abbiamo fatto possiamo già ipotizzare un investimento superiore a quello dello scorso anno, indicativamente 350-400 milioni”.
La centralizzazione della cabina di regia prevista dalle legge potrà essere un bonus o un minus?
“Mura radicalmente la filosofia perché si passa da uno strumento di politica industriale concepito per valorizzare esperienze locali, quelle che si definiscono ‘bottom-up’, a uno centralizzato, quindi ‘top-down’, e questa ha diverse implicazioni intanto perché nelle varie Zes che esistono nel mondo non c’è un esempio analogo ed è necessario capire come potrà funzionare. Il fatto che si aprano i parametri della Zes è sicuramente positivo perché segno che ha funzionato. Centralizzare e coordinare le misure d’investimento è sicuramente positivo ma centralizzare l’operatività rischia di diventare inapplicabile proprio per la diversa peculiarità del territorio”.
Cosa servirà, quindi?
“Occorre avere immediatamente un piano strategico di politica industriale partecipato, il coinvolgimento delle regioni coinvolte per definire la politica industriale del Sud nell’ottica delle singole regioni. Si tratta di un processo in divenire e posso solo dire che fino ad ora ha funzionato per il futuro dovremmo capire cosa succederà”.
Per quanto riguarda invece gli accordi per la coesione previsti dalla legge?
“Questo è un aspetto della legge che impatta sul come investire nel Sud. Non conosco la quota di risorse destinata ma posso specificare che, se nello 0,5% del territorio della Sicilia orientale in un anno sono stati investiti circa 300 milioni di euro d’investimenti privati, mi aspetto una struttura della misura adeguata a quanto stiamo facendo adesso. L’altra sfida sarà quella relativa alla razionalizzazione delle misure fiscali, assieme al Pino strategico perché oggi è indicato un limite al 15 novembre 2024 e determina capienza ancora da comprendere. Mi auguro che lo strumento possa continuare a operare al meglio anche dopo il primo gennaio 2024”.
Abbiamo, a suo giudizio, le competenze necessarie per mettere mano alla nuova programmazione prevista per gli accordi di coesione?
“La considerazione vale sia per gli accordi di coesione ma anche per la gestione ordinaria della Zes. Tutta questa centralizzazione necessita di risposte da parte della struttura centrale che, a mio avviso, sarà complesso avere non tanto per le capacità ma per poter mettere ‘a terra’ i singoli investimenti e le singole misure cozzano non solo con processi burocratici e amministrativi generici ma che in ogni Regione, in ogni territorio e nei singoli comuni sono diversi. Affrontare tutto ciò a livello centrale, dal punto di vista operativo, potrà essere molto complesso e, a mio avviso, poco attuale anche se spero di essere smentito dai fatti”.
Questa legge si configura una possibile Cassa del Mezzogiorno 2.0?
“La Zes, in tutto il mondo, è uno strumento di politica economica, di agevolazione burocratica e d’impulso al miglioramento della logistica. Non possiamo però trasformare la Zes in una mera misura economica del mezzogiorno. Da un lato è necessario ragionare in termini di assetto economico e, dall’altro, i vantaggi economici, credito d’imposta e, in divenire, agevolazione e qualità del lavoro e altro ancora. Prima c’era il ‘Credito Sud’, ‘Resto al Sud’ e il ‘credito Zes’ ma, proprio in virtù di questa nuova legge e creando un unico pacchetto, emerge il fatto che non esisteranno più misure sotto i 200.000 euro, quindi stiamo togliendo qualcosa. L’assenza di questi contributi determinerà problematiche che vedremo in un prossimo futuro quando la loro mancanza sarà tangibile”.
Cosa manca, quindi?
“Il supporto delle Zes alla logistica, il supporto alle piccolissime imprese sono temi fondamentali che, al momento, sembrano non essere stati percepiti e potrebbero essere correttivi introdotti dai decreti attuativi che oggi non esistono ancora”.
Interviene al QdS Marco Sarracino, deputato e membro della segreteria nazionale del Partito Democratico con la delega a “Coesione territoriale, Sud e aree interne”.
È stata approvato anche in senato il Dl Sud e, quindi, è diventato legge. A vostro giudizio si tratta di un passo in avanti o di un passo indietro?
“Passo indietro, perché questa legge, soprattutto per quanto riguarda le Zone rconomiche speciali, è una grande illusione nei confronti delle imprese per tre semplici motivi. Innanzitutto perché il finanziamento utilizzabile, previsto dalla prossima legge di bilancio, è assolutamente insufficiente. La Zes unica avrà un’estensione che è circa 500 volte più grande rispetto al perimetro delle vecchie otto Zes, ma la quota di finanziamento del credito d’imposta è rimasto sostanzialmente uguale. Come a dire che tutto è Zes ma si rischia che nulla sia Zes”.
Gli altri due motivi?
“Il primo riguarda le piccole e medie imprese, che in realtà sono il cuore produttivo del mezzogiorno, che non potranno più usufruire dei vantaggi della Zes se non faranno investimenti superiori ai 200.000 euro. In audizione alla Camera il Commissario della Zes Abruzzo ci ha detto che il 90% degli investimenti fatti nella sua Zes aveva una quota inferiore ai 200.00 euro, quindi stiamo tagliando fuori un pezzo importante dell’economia meridionale. Il terzo motivo è l’assenza di una garanzia relativa al credito d’imposta in un’ottica pluriennale, fondamentale per le imprese, soprattutto quelle straniere, che vogliono investire nel nostro paese. Un investimento per essere tale non deve avere caratteristiche del ‘mordi e fuggi’. È chiaro che se garantiamo l’agevolazione fiscale solo per un anno, di fatto stiamo disincentivando le imprese a investire. Quindi, per quel che riguarda la Zes unica, la nostra critica è totale, perché si smonta un’impostazione che aveva cominciato a dare risultati positivi come nel caso della ex Whirlpool a Napoli, dove proprio grazie ai vantaggi della Zes, una nuova impresa ha salvato il futuro di 312 famiglie. Si è invece deciso di smontare tutto accentrando il sistema a livello nazionale, con il rischio che lo snellimento della procedura burocratica che aveva reso più agevole il lavoro delle singole Zes sia sostituito da una procedura centralizzata che non garantirà assolutamente i tempi brevi di cui necessitano invece le imprese”.
Nella legge non si trova traccia, nemmeno con una rimodulazione, della misura “Resto al Sud”…
“Abbiamo presentato un emendamento, proprio per questo, ma è stato bocciato. Tutto ciò rientra nelle scelte politiche e identitarie che questo Governo sta facendo nei confronti del mezzogiorno, come ad esempio il dimezzamento dell’agevolazione fiscale relativa al ’rientro dei cervelli dall’estero’, il decreto lavoro che ha smantellato il reddito di cittadinanza agevolando la precarietà con i contratti a termini e i voucher, la gestione del Pnrr che da grande occasione è diventato un vero e proprio elogio delle incertezze e infine l’autonomia differenziata con cui provano solo a spaccare l’Italia in due e ad aumentando i divari tra Nord e Sud”.
È pur vero che adesso serviranno i decreti attuativi ma come pensate di poter fare sul territorio per contrastare una misura che, mi è sembrato di capire, ritenete negativa?
“Abbiamo costruito un metodo innovativo sin dall’inizio, con una metodologia riguardante la costruzione degli emendamenti perché, come segreteria nazionale, abbiamo voluto incontrare tutte le categorie interessate a questo provvedimento. Abbiamo inoltre costruito assemblee con il mondo delle imprese e delle associazioni di categoria perché, quando si parla di decreto per il mezzogiorno, si è autorizzati a pensare a misure in grado di affrontare i problemi strutturali che esistono al Sud e, tra questi, come agevolare le imprese che vogliono lavorare e produrre ricchezza per il nostro territorio. Purtroppo il decreto non va in questa direzione”.