Inchiesta

Fra tagli alle spese e acquisti low cost i consumatori tutelano le proprie tasche

ROMA – Il 15 marzo si celebra la “Giornata mondiale dei diritti dei consumatori”, nata per rilanciare e far riscoprire i diritti acquisiti in questi anni, grazie anche alle battaglie delle associazioni riconosciute dalla legge. La giornata è stata ispirata nel 1962 dal presidente degli Stati Uniti John F. Kennedy, precisamente il 15 marzo, quando al Congresso degli Stati Uniti inviò un messaggio sulla tutela degli interessi dei consumatori. Quel discorso identificò i quattro diritti fondamentali del consumatore: sicurezza, informazione, scelta e risarcimento, divenuti poi negli anni aspetti centrali in questo ambito.

Attualmente, in Italia, i diritti dei consumatori sono riconosciuti e difesi grazie al “Codice del Consumo” emanato nel 2003 con lo scopo di identificarne e difenderne i diritti, in linea con quanto stabilito precedente dal “Trattato di Maastricht” del 1993 che ha permesso, per la prima volta, la creazione di un titolo dedicato alla protezione dei consumatori.

Quotidianamente i cittadini si trovano ad affrontare diversi problemi: bollette troppo esose, assicurazioni, pratiche commerciali fraudolente, pubblicità ingannevole, stalking telefonico. Grazie al supporto delle associazioni che tutelano i loro diritti, troppo spesso trascurati o dimenticati, si trovano meno soli.

La fiducia dei consumatori è in crescita

Rispetto agli anni precedenti, da febbraio 2024 emergono segnali contrastanti dal clima di opinione degli operatori economici. Infatti, l’indice del clima di fiducia dei consumatori aumenta da 96,4 a 97,0 mentre l’indicatore composito del clima di fiducia delle imprese scende da 97,9 a 95,8. Lo rileva l’Istat precisando che la “fiducia delle imprese diminuisce rimanendo comunque sul livello medio degli ultimi sei mesi. La flessione è dovuta a un diffuso peggioramento della fiducia in tutti i comparti economici”. L’indice di fiducia dei consumatori invece continua a crescere, senza interruzioni, dallo scorso novembre e raggiunge il livello più elevato da giugno 2023. L’Istat evidenzia “un’evoluzione positiva delle valutazioni sulla situazione personale e su quella corrente; le opinioni sulla situazione futura rimangono sostanzialmente stabili rispetto al mese scorso mentre quelle sulla situazione economica generale peggiorano”. Più in dettaglio: il clima personale aumenta da 93,9 a 95,2 e il clima corrente cresce da 95,8 a 97,0; il clima futuro rimane sostanzialmente invariato (da 97,2 a 97,1) mentre il clima economico diminuisce da 103,1 a 102,0.

“Secondo i dati Istat, l’indice di fiducia dei consumatori cresce, seppur molto lentamente senza interruzioni dallo scorso novembre – dichiara Alfio La Rosa, presidente di Federconsumatori Sicilia, al QdS – e, al momento, è lo stesso di giugno 2023. Secondo noi più che di crescita di fiducia dovremmo parlare di uno stop alla crescita della sfiducia: l’inflazione ha smesso di galoppare, i mutui a tasso variabile anche, le bollette sono in stand-by in attesa delle sorprese del mercato libero. In queste condizioni i consumatori non sono più nel panico come l’anno scorso, ma ciò non vuol dire certo che se la passino bene. Tanto è vero che le imprese, che per lavoro non guardano al 27 del mese ma al 31, se non oltre, di fiducia ne hanno parecchia di meno: le aziende sanno che i loro clienti, in realtà, non hanno più potere d’acquisto oggi rispetto all’anno scorso”.

Inflazione, frenata dei consumi, aumento dei costi delle materie prime, crisi energetica hanno messo a dura prova la popolazione che, per difendersi, è stata costretta a prendere contromisure. “Il primo gesto di difesa del consumatore – precisa il presidente La Rosa – è sempre lo stesso, ossia tagliare il più possibile le spese non essenziali. Quindi meno uscite fuori per mangiare, meno cultura, meno viaggi e gite fuoriporta, meno sfizi di ogni tipo. Questo, però, per il consumatore medio, perché poi c’è il consumatore più vulnerabile che è costretto a tagliare pure le spese essenziali: spesa alimentare (meno prodotti, o prodotti di qualità inferiore), cure mediche in strutture private, farmaci da banco non rimborsabili, un maglione in più e due gradi in meno ai termosifoni. È chiaro che siamo di fronte a persone diverse con esigenze diverse e c’è un enorme problema di priorità da rispettare. Priorità nella scelta a chi dare eventuali sussidi pubblici e priorità nella scelta di cosa sussidiare e cosa no. Federconsumatori ha raccolto migliaia di segnalazioni da parte dei cittadini sulle liste d’attesa e sono emersi dati allarmanti: i cittadini stanno smettendo di curarsi e di fare gli esami diagnostici salva vita, perché le strutture pubbliche li rimbalzano a 180 giorni e quelle private costano troppo”.

Tra la difesa del lavoratore e quella del consumatore, spesso, si instaura un rapporto piuttosto complesso e potenzialmente in contrasto. Le associazioni, grazie all’informazione e all’educazione del consumatore, riescono a promuovere delle iniziative di sensibilizzazione per lo sviluppo sostenibile e la produzione di beni e servizi rispettosa dei diritti dei lavoratori. “Secondo Federconsumatori – spiega La Rosa – non c’è modo migliore di tutelare i consumatori se non quello di difendere i lavoratori e aggiungiamo, anche l’ambiente. Oggi viviamo in una società dominata dal low cost, fatta di prodotti che costano poco e valgono ancor meno. Ma non è un mercato che il consumatore può controllare, quindi da un momento all’altro i prezzi possono salire, oppure può crollare ulteriormente la qualità, e in entrambi i casi il consumatore non può farci niente: se ha i soldi continua a comprare, altrimenti stringe la cinghia. Ma, alla fin fine, tutti vorremmo più qualità e la maggior parte di noi spenderebbe anche un pò di più se avesse la certezza che quel prodotto è fatto con materie prime di qualità, con un processo produttivo più pulito e con il massimo rispetto dei lavoratori. Recentemente in Tv, su Rai Tre nazionale, è andato in onda un servizio su una azienda italiana che produce tessuto per i jeans a basso impatto ambientale, con stabilimenti completamente in Italia e nel massimo rispetto dei lavoratori. Durante l’intervista con il titolare si diceva chiaramente che questo prodotto costa di più del jeans che troviamo normalmente nei negozi. Il sito web di questa azienda è andato offline per diverse ore subito dopo la messa in onda, a conferma che se il consumatore è ben informato, è possibile e anche probabile che faccia scelte d’acquisto migliori per i lavoratori e per l’ambiente”.

L’avvento di tecnologie innovative e l’affermazione del commercio online, soprattutto durante il periodo della pandemia da Covid-19, hanno richiesto un impegno costante per adeguare la tutela alle esigenze in continua evoluzione. Spesso, se non si pone una massima attenzione, ci si può imbattere in truffe finanziarie. L’e-commerce rappresenta un terreno fertile per nuove sfide e potenziali insidie. È fondamentale, dunque, rafforzare la tutela dei consumatori online, garantendo maggiore trasparenza e sicurezza nelle transazioni.

Aumentato l’uso e l’acquisto di beni e servizi online

“La pandemia – conclude La Rosa – ha digitalizzato, dall’oggi al domani, una buona metà della popolazione italiana. Nel bene e nel male, perché è aumentato l’uso e l’acquisto di beni e servizi online, ma non è ancora cresciuta di pari passo la cultura della sicurezza digitale. Federconsumatori, inoltre, è assolutamente favorevole allo smart working della Pubblica amministrazione, se è fatto bene e non serve a coprire l’assenteismo, e, soprattutto, all’uso sempre maggiore dei servizi digitali pubblici. Se l’utente può fare qualcosa online, in modo più semplice, senza spendere di più e senza andare a fare la fila allo sportello per noi va benissimo. Il problema è che più si ‘fanno cose online’ e più si rischiano le truffe online, se non si ha un minimo di cultura del digitale”.

“Manca la ripartenza dei redditi, le imprese sono in difficoltà”

ROMA – “L’energia potenziale” accumulata con il prolungato miglioramento della fiducia dei consumatori non si sta trasformando in “energia cinetica per i consumi”, anche a causa della ripresa del risparmio, che le famiglie tornano ad accumulare dopo averlo sacrificato per mantenere i livelli di spesa durante la fase di picco dell’ondata inflazionistica. Un quadro difficile per le imprese del commercio al dettaglio, il cui clima di fiducia diminuisce in tutti e quattro i comparti economici indagati dall’Istat (costruzioni, commercio al dettaglio, manifattura e servizi), seppur con intensità diverse.

“Le rilevazioni Istat confermano il progressivo miglioramento del clima delle famiglie – spiega il segretario generale di Confesercenti, Mauro Bussoni, al QdS – il cui indice cresce, senza interruzioni, dallo scorso novembre, in coincidenza con il rallentamento dell’inflazione. Per il commercio al dettaglio, però, febbraio 2024 resta un mese freddo, non solo dal punto vista climatico. L’indice di fiducia complessivo del comparto si ferma a 100,6: escludendo il periodo della pandemia, è il febbraio peggiore dal 2015. L’energia potenziale accumulata con il prolungato miglioramento della fiducia dei consumatori, dunque, non si sta trasformando in energia cinetica per i consumi. Probabilmente tutto ciò è dato dall’andamento non positivo ed inferiore alle attese della stagione dei saldi invernali, sette negozi su dieci lamentano risultati inferiori a quelli del 2023; dai cambiamenti climatici che hanno causato delle temperature eccezionalmente miti e di conseguenza hanno bloccato la domanda di capi invernali; inoltre l’eccesso di promozioni sta diluendo l’impatto delle vendite di fine stagione. Ci stiamo trovando davanti ad una situazione paradossale che, però, va considerata. L’inflazione annulla la ripartenza dei redditi degli italiani, riportandoli sotto i livelli pre-pandemia, con una perdita complessiva di oltre 6 miliardi di euro rispetto al 2019. Tra il 2019 ed il 2023, in valori nominali, il reddito medio delle famiglie italiane è passato da poco più di 38.300 euro a oltre 43.800 euro l’anno. Un salto di oltre 5.500 euro che, purtroppo, è solo virtuale, perché annullato di fatto dall’aumento dei prezzi: al netto dell’inflazione, infatti, nel 2023 il reddito reale medio per famiglia è ancora 254 euro (-0,7%) inferiore a quello del 2019”.

Le imprese meno strutturate stanno attraversando una situazione di difficoltà – aggiunge il segretario – tant’è che gli indici di natalità delle imprese del settore commerciale sono ai minimi storici. In poche parole, in Italia, non si fa più impresa. I condizionamenti internazionali di questi anni sono fortissimi, prima la pandemia, poi la guerra in Ucraina e adesso le tensioni in Medio Oriente. Perciò la situazione attuale è ancora di massima incertezza, infatti si registra un fattore che ci sembra contraddittorio, perché nel momento in cui aumentano gli occupati dal punto di vista statistico non c’è un aumento proporzionale diretto rispetto al reddito che si produce. I consumatori hanno drasticamente ridotto i propri consumi. Un quadro difficile per le imprese del commercio al dettaglio, il cui clima di fiducia si deteriora soprattutto per la Grande distribuzione organizzata, anche se continuano a soffrire le attività della distribuzione tradizionale il cui giudizio sulle vendite rimane negativo ormai da giugno scorso”.

“Inoltre c’è un problema vero di concorrenza e di equilibrio del mercato dato dalle grandi piattaforme della vendita online che stanno portando via ricchezza ai territori. Sia per il dettaglio tradizionale che per la Grande distribuzione organizzata si pone, sempre con maggiore urgenza, il tema di garantire una corretta concorrenza con queste piattaforme perché si rischia che le aziende vengano assorbite con la conseguente perdita di lavoratori e quindi di consumatori. È ovvio che la presenza delle attività fisiche crei occupazione di natura locale che si trasforma in nascita di presidi di natura territoriale. Le piccole imprese andrebbero sostenute con delle scelte fiscali a loro vantaggio”. “Le famiglie non sono state in grado di aumentare la spesa, anche perché stanno ricostituendo i livelli di risparmio erosi negli ultimi due anni per sostenere i livelli di consumi. Perché il tesoretto di fiducia dei consumatori si tramuti in consumi effettivi, occorre accelerare sul percorso tracciato dalla riforma fiscale: l’alleggerimento della pressione fiscale, ed in particolare sul lavoro, è la via maestra per stabilizzare le attese delle famiglie”, conclude Bussoni.