Tamponi dai medici di famiglia, si spacca il fronte dei sindacati

ROMA – I medici di famiglia potranno eseguire tamponi rapidi nel proprio studio, ma un coro di polemiche ha subito sommerso l’accordo collettivo nazionale (stralcio) che martedì sera è stato siglato soltanto dalla Fimmg (la Federazione nazionale dei medici di medicina generale). Le altre sigle sindacali (Sindacato nazionale autonomo dei medici Italiani-Snami, Intesa sindacale e Sindacato medici italiani-Smi) non hanno firmato ritenendo che l’intesa – raggiunta dalla Sisac (la Struttura interregionale sanitari convenzionati), sviluppata sulla base di un indirizzo della Conferenza Stato-Regioni – “non garantisca la sicurezza dei cittadini e degli operatori sanitari”.

L’accordo, però, è ormai stato sottoscrittoe per garantirne la piena operatività è stato inserito nel Decreto Ristori un finanziamento di 30 milioni di euro, con il quale si andrà a coprire il “ticket” riconosciuto ai medici di base: 18 euro al professionista per ogni tampone fatto nel suo studio e 12 euro se il test viene somministrato in una struttura della Asl. Soldi che dunque non dovranno sborsare i pazienti, in quanto il costo sarà interamente a carico dello Stato.

Ai medici generici, inoltre, verranno forniti i dispositivi di sicurezza da indossare ogni volta che entreranno in contatto con un caso sospetto di Covid.

“In questa fase emergenziale – spiega il presidente del Comitato di Settore Regioni Sanità, Davide Caparini, – è fondamentale assicurare un’assistenza territoriale che sia presente con tutte le sue forze. Grazie al coinvolgimento della medicina del territorio, i medici di medicina generale e i pediatri assumono così un ruolo ancora più attivo nel contrasto alla pandemia. L’obiettivo è di ridurre la pressione sui presidi ospedalieri e sulle strutture sanitarie e diminuire le occasioni di esposizione al rischio contagio”.

“E’ una risposta importante – sottolinea Stefano Bonaccini, presidente della Conferenza delle Regioni – che i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta hanno dato al Paese contribuendo a migliorare il processo di presa in cura dei pazienti attraverso l’erogazione di un numero maggiore di servizi di diagnostica di primo livello e attraverso l’effettuazione dei tamponi antigenici rapidi per tutto il periodo dell’emergenza”.

“Ora il nostro Paese ha un strumento in più da utilizzare per contrastare la diffusione del Covid-19. Si allarga così in modo sempre più capillare – dice ancora Bonaccini – la campagna di prevenzione e di contrasto della pandemia. Ormai su larga scala sono coinvolte diverse categorie di operatori sanitari, che meritano sempre il nostro ringraziamento per la loro professionalità e dedizione”.

Di tutt’altro avviso, il segretario nazionale della Smi, Pina Onori, secondo la quale “tenuto conto che è stato finanziato 1 milione e mezzo di tamponi ci è sembrato che la percentuale non incida. Ma incide invece sulla sicurezza degli studi medici e dei cittadini”.

Critica anche la Fp Cgil medici secondo cui l’accordo non è stato frutto di una trattativa, ma “la presa d’atto di qualcosa che era già stato concordato”. Inoltre: “Due milioni di test da distribuire entro fine anno a 53 mila medici di famiglia su tutto il territorio nazionale significa che ogni singolo professionista farà 1 solo tampone al giorno. Ci si chiede se valeva per davvero la pena di organizzare tutto questo per un risultato così piccolo”, dice il segretario nazionale Andrea Filippi.

Sull’argomento è intervenuto anche il presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta: “Al di là della effettiva disponibilità dei tamponi rapidi, diverse difficoltà ostacolano il loro immediato utilizzo negli ambulatori di medici e pediatri di famiglia, spesso strutturalmente inadeguati a garantire percorsi dedicati per sospetti casi Covid. Peraltro è necessario un adeguato training dei professionisti coinvolti nell’esecuzione dei test, perché la probabilità di risultati falsamente negativi al tampone aumenta in mani non esperte.”