PALERMO – L’annuncio ufficiale di un bando per la costruzione di due termocombustori da parte del presidente della Giunta regionale, Nello Musumeci, ha creato malumori e polemiche non solo all’interno dei movimenti ambientalisti ma anche tra le fila dell’opposizione. Compresi quei partiti che non si sono mai realmente opposti agli impianti di valorizzazione energetica dei rifiuti. Anzi, in taluni casi, sono stati i primi sponsor di queste tecnologie. “Il Pd siciliano è contrario ai termovalorizzatori in Sicilia”, ha dichiarato una settimana fa il leader dei dem isolani, Anthony Barbagallo. Una posizione che suona come una “doppia morale”: fu proprio il governo a maggioranza Pd a stabilire con legge la necessità di ben due impianti in Sicilia.
L’apertura del governo Musumeci ai termocombustori, infatti, non fa altro che assecondare quanto previsto dal Decreto del presidente del Consiglio dei ministri del 10 agosto 2016, provvedimento dell’allora premier Matteo Renzi, che dava attuazione all’art.35 del Dl 133/2014 – il cosiddetto “Sblocca Italia”, poi convertito nella legge 164/2014 – e che aveva introdotto “Misure urgenti per la realizzazione su scala nazionale di un sistema adeguato e integrato di gestione dei rifiuti urbani e per conseguire gli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio”. Il decreto attuativo ha stabilito la costruzione di alcuni termovalorizzatori al Sud (due in Sicilia, come già detto) per equilibrarne la presenza all’interno del Paese (basti pensare che in Lombardia ce ne sono addirittura 13), evitando così il costoso, a livello ambientale ed economico, “export della spazzatura”.
A onor del vero sulla questione esisterebbe oggi un vulnus normativo, in quanto una successiva sentenza del Tar Lazio del 20 luglio 2020 (depositata a ottobre dello stesso anno) diede parzialmente ragione ad alcune associazioni ambientaliste che impugnarono il Dpcm perché demandava la valutazione ambientale alle regioni anziché allo Stato.
Tuttavia, la sentenza dei giudici amministrativi ha annullato il Dpcm solo “per la parte che non prevede l’espletamento di previa Valutazione ambientale strategica statale (Vas)”. In poche parole, il Tar non è intervenuto sulla (legittima) previsione dei termocombustori, ma ha indicato al Governo la strada corretta per la loro individuazione e realizzazione. “Se pure – si può leggere nella sentenza – era consentito qualificare gli impianti in questione come di rilevanza strategica nazionale la Pcm avrebbe dovuto comunque provvedere ad attivare la procedura di assoggettabilità alla Vas prima dell’emanazione del Dpcm attuativo qui impugnato e non lasciare alle diverse procedure autorizzatorie singole in via postuma l’incombenza relativa”.
Se da un punto di vista giuridico, dunque, oggi non si potrebbe parlare di un vero e proprio “obbligo” nazionale per le Regioni, essendoci questo vuoto normativo circa l’applicazione della legge 164/2014, la questione politica resta. A sei anni da un provvedimento varato da un Governo a trazione democrats, lo stesso partito si mette di traverso nonostante nell’Isola continui incontrastato il dominio delle discariche. E si tratta pur sempre della stessa area, quella di centro-sinistra, che acconsentì, con l’allora presidente della Regione Campania, Antonio Bassolino, a realizzare un impianto ad Acerra, inaugurato il primo marzo 2009.
“Parliamo di 20 anni fa – ha replicato al QdS il leader dei dem siciliani, Anthony Barbagallo, in una intervista pubblicata la settimana scorsa – quando i governi regionali sarebbero dovuti intervenire. Ora che si va verso l’abbattimento della produzione dei rifiuti questa soluzione è fuori dal tempo”.
Secondo il Pd siciliano i termocombustori contrasterebbero con le direttive europee sullo smaltimento dei rifiuti urbani. “Siamo contrari – ha continuato Barbagallo – a questi impianti anche alla luce delle direttive europee che prevedono la riduzione dei conferimenti in discarica. L’Europa va da una parte e la Sicilia dall’altra. Incomprensibile”. In realtà non si capisce dove sarebbe il ventilato conflitto con la legislazione comunitaria: la direttiva 2008/98/CE, infatti, ha stabilito una precisa gerarchia nello smaltimento dei rifiuti che prevede prima di tutto la prevenzione, poi il riutilizzo, il riciclaggio, il recupero energetico e solo in ultima istanza l’abbancamento in discarica.
Successivamente è intervenuta la direttiva Ue 2018/850 che ha stabilito gli obiettivi per “garantire una progressiva riduzione del collocamento in discarica dei rifiuti, in particolare quelli idonei al riciclaggio o al recupero di altro tipo”. Una scelta, viene spiegato nel preambolo, che passa, a partire dal 2030, dalle “restrizioni sul collocamento in discarica a tutti i rifiuti idonei al riciclaggio o a altro recupero di energia o di materia”. In particolare, l’Europa ha stabilito in modo tassativo che gli Stati membri dovranno adottare “le misure necessarie per assicurare che entro il 2035 la quantità di rifiuti urbani collocati in discarica sia ridotta al 10%”. Senza i dovuti accorgimenti, dunque, nel 2035 la Sicilia potrebbe andare incontro all’ennesima infrazione europea che peserà sulle tasche dei contribuenti aggravando ancora di più gli elevati costi (nell’Isola si paga la Tari più cara d’Italia) di un servizio che, purtroppo, rimane scadente e inquinante.
CATANIA – I termocombustori sono un tassello fondamentale dell’economia circolare in quanto consentono di recuperare energia e calore dai rifiuti urbani indifferenziati. Quello che è “munnizza” può trasformarsi in risorsa energetica. Come accade già in molte parti di Italia. A Bolzano, per esempio, dove il termocombustore locale permette di scaldare fino a diecimila cittadini.
“Attualmente cediamo in rete circa 100.000 MWh all’anno di energia termica – ha dichiarato al QdS a novembre 2020 Marco Palmitano, direttore generale di Eco Center, azienda che gestisce l’impianto altoatesino – A pieno regime potremmo cedere fino a oltre 20.000 MWh al mese. Oltre all’energia termica possiamo produrre energia elettrica con una turbina da 15 MW. Nel caso di cessione massima di energia termica siamo comunque in grado di produrre contemporaneamente circa 12 MW di energia elettrica”.
Un vantaggio indiscusso. Ma non per coloro che si oppongono alla costruzione di questa tecnologia in Sicilia. A parer loro il danno ambientale sarebbe troppo elevato. Ma quanto inquina un termocombustore costruito con le più moderne tecnologie a nostra disposizione? Il Quotidiano di Sicilia lo ha chiesto più volte a vari professionisti del settore.
“Oltre ai controlli previsti per legge – ha risposto Palmitano – viene fatto un campionamento continuo dei fumi sui quali facciamo vari controlli. Abbiamo anche fatto uno studio di Land Monitoring per misurare in campo l’effettiva ricaduta al suolo dei fumi dal camino ottenendo valori bassissimi di concentrazione del gas tracciante utilizzato. Con il calore ceduto al teleriscaldamento siamo in grado, al netto dei fumi immessi in atmosfera, di ridurre le polveri e altri inquinanti del 20% circa a pieno carico rispetto all’utilizzo dei riscaldamenti domestici a metano”.
E la situazione non cambia di molto spostandosi un po’ più a sud, nei termocombustori di Iren ambiente. “L’impatto ambientale dei nostri termovalorizzatori – ha dichiarato al QdS Mauro Pergetti, il direttore impianti della società – è minimo grazie ad una gestione efficace e ad una tecnologia di depurazione dei fumi di combustione all’avanguardia. Durante la fase di esercizio dell’impianto, il monitoraggio ambientale è effettuato attraverso il sistema di monitoraggio delle emissioni. Gli impianti hanno inoltre centraline di monitoraggio della qualità dell’aria gestite dalle Arpa locali ed inserite all’interno della rete di monitoraggio. Tutti i rapporti annuali redatti dagli enti di controllo in questi anni hanno sempre dichiarato che la qualità dell’aria nei pressi degli impianti non ha subito variazioni significative dall’entrata in funzione del termovalorizzatore, a dimostrazione della loro piena sostenibilità”.
È dunque chiara l’utilità di questi impianti in Sicilia, anche per cercare di raggiungere l’obiettivo “rifiuti zero”. Obiettivo irraggiungibile senza gli impianti adeguati a recuperare la spazzatura non riciclabile. “La normativa europea – spiega Chicco Testa, presidente di Fise Assoambiente – prevede entro il 2035 una percentuale giustamente non di raccolta differenziata, ma di riciclaggio del 65%. Il che vuole dire, considerando in modo cautelativo gli scarti della differenziata, arrivare ad una percentuale di almeno l’80%, con residui che andranno considerati nei fabbisogni impiantistici”.
Impianti che a loro volta produrranno degli scarti che sarà impossibile riutilizzare se non recuperandoli energeticamente. “Da questi impianti – commentava già nel 2018 il professore di Impianti chimici dell’Università di Catania Giuseppe Mancini – spuntano ingenti scarti di raffinazione che pesano per circa il 15% del rifiuto totale e sommandosi al 35% restante senza i termocombustori portano ad una montagna (50%) di rifiuto ancora da gestire”.