L'intervista

Terremoti, l’appello del professor Neri: “Bisogna rendere case più sicure”

“Il terremoto della scorsa notte ci ricorda come la Sicilia sia al centro di importanti processi vulcano-tettonici attivi e di eventi sismici tra i più distruttivi del Mediterraneo e come la prevenzione e mitigazione del rischio sismico e vulcanico non possa prescindere da un’analisi dettagliata del territorio e dal continuo aggiornamento delle conoscenze geologiche e geofisiche”.

Nelle parole del prof. Carmelo Monaco che, insieme ad altri accademici dell’Università di Catania ha condotto uno studio “Transtension at the Northern Termination of the Alfeo-Etna Fault System (Western Ionian Sea, Italy): Seismotectonic Implications and Relation with Mt. Etna Volcanism”, pubblicato il 10 marzo scorso sulla rivista internazionale “Geosciences”, è racchiusa tutta la preoccupazione relativa alle conseguenze di un eventuale forte terremoto sulla popolazione.

La recente scossa di terremoto di magnitudo 4.2 dello scorso 15 aprile, avvertita da Siracusa a Catania, riaccende i riflettori sul rischio sismico in Sicilia orientale, sulla possibilità che il territorio venga colpito nuovamente da un forte sisma – il famoso big one – ma soprattutto sulla necessità di farsi trovare preparati attraverso opere di prevenzione, non essendo possibile prevedere le scosse e la loro violenza.

Una questione che il Quotidiano di Sicilia ha affrontato più volte con l’intento di tenere alta l’attenzione su una condizione strutturale della parte orientale dell’isola. “Senza volere creare allarmismo, le statistiche e gli studi condotti dagli scienziati suggeriscono che nella Sicilia sud-orientale è atteso un “Big-one” – aveva confermato Fabio Tortorici, geologo del consiglio nazionale – – cioè un terremoto catastrofico, affine a quello che nel 1693 rase al suolo oltre 45 centri abitati e registrò oltre 60 mila vittime”. Tortorici aveva insistito molto sulla difficoltà di poter fare previsioni accurate per quel che riguarda sismi e terremoti, puntando l’accento sulla necessità di arrivare preparati all’eventuale, possibile, episodio.

“Se da un lato non è possibile stabilire il giorno e l’ora in cui si può verificare un terremoto – aveva dichiarato – ormai è ben definita l’ubicazione delle principali ‘faglie capaci’(cioè quelle che si sono rotte almeno una volta negli ultimi 40.000 anni producendo una rottura del terreno) ed è ben chiaro l’inquadramento delle ‘sorgenti sismogenetiche’ cioè delle zone riconosciute come origine dei terremoti. Ahimè, la provincia di Catania e tutta la Sicilia orientale, sono costellate da tali elementi con significativa sismicità. Pertanto – aveva aggiunto – gli amministratori, sia a livello locale che governativo centrale, dovrebbero considerare che una efficace difesa dai terremoti si deve basare sia su una valutazione della pericolosità locale a scala urbana, che studiando gli ‘effetti di sito’ che possono amplificare notevolmente le sollecitazioni nelle strutture”.

Una situazione ormai nota, dunque, non solo a studiosi e addetti ai lavori, che coinvolge dunque gli apparati amministrativi delle città e chi gestisce i territori, che andrebbero messi in sicurezza, così come gli edifici, a cominciare da quelli pubblici.

“Siciliani siano più consapevoli dei pericoli potenziali”

Questo a prescindere dall’intensità dell’ultimo terremoto che, secondo gli esperti, è stata modesta. “Il sisma del 15 aprile scorso non deve preoccupare affatto – sottilinea Marco Neri, vulcanologo dell’Istituto Nazionale di geofisica e vulcanologia -. Si è trattato di un sisma di energia modesta con epicentro relativamente profondo (circa 33 km), ed epicentro a circa 40 km di distanza dalla costa orientale della Sicilia. Tutte condizioni che non possono causare alcun danno ai manufatti, né generare maremoti” – prosegue. La faglia interessata dall’ultimo terremoto è la cosiddetta ‘faglia Alfeo’”.

“Si tratta di una struttura tettonica rilevante, lunga un centinaio di chilometri, che disloca il fondale marino in un tratto contiguo ad un’altra faglia di ben altre dimensioni e pericolosità: la ‘Scarpata di Malta’ – continua Neri -. Quest’ultima faglia, lunga oltre trecento chilometri, disloca il fondale marino producendo una scarpata subverticale alta fino a tremila metri e quando si muove può produrre terremoti (e tsunami) devastanti, come la storia sismica del nostro Paese tristemente insegna.

Insomma, il sisma dello scorso 15 aprile non rappresenta caratteristiche tali da doverci preoccupare, poiché rappresenta un evento tutto sommato ‘normale’ nel contesto tettonico di quel tratto di crosta terrestre”. L’ultimo sisma percepito dalla popolazione non è stato dunque tale da preoccupare gli esperti, ma resta uno dei tanti segnali che richiederebbero azioni concrete da parte di politici e amministratori. “Il suo accadimento “– continua Marco Neri – deve rendere più consapevoli le popolazioni siciliane del pericolo potenziale che si cela sui fondali del Mare Ionio, solcato da faglie sismogenetiche che in passato hanno prodotto eventi sismici ben più potenti. Quindi, più che preoccuparci, dovremmo ‘occuparci’ di rendere le nostre abitazioni più sicure, ovvero più resistenti al sisma che verrà. Inoltre, il sisma non dovrebbe neanche avere alcuna conseguenza sul vulcanismo etneo, molto distante dall’area epicentrale”. A contribuire a mitigare il rischio sismico, negli anni, sono intervenute misure diverse, alcune molto efficaci che andrebbero sfruttare in pieno proprio per la sicurezza degli edifici. La più recente, il bonus 110%, potrebbe rappresentare la vera svolta. “Questo contributo insieme a quello ‘rinforzato’ (110%+50%) per le zone terremotate, rappresentano una formidabile occasione per rendere le abitazioni più sismo-resistenti – conclude Neri. Andrebbe sfruttato meglio e capillarmente dalle popolazioni che vivono in Sicilia orientale, proprio perché risiedono in un territorio.