Cronaca

Trapani, torture in carcere: 11 agenti ai domiciliari, 14 sospesi

A seguito di accuse a vario titolo per concorso di tortura, abuso d’autorità contro detenuti e falso ideologico, sono stati fermati venticinque poliziotti penitenziari che operano nel carcere Pietro Cerulli di Trapani.

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Tra gli agenti coinvolti in questa vicenda, per undici sono scattati gli arresti domiciliari, mentre per altri quattordici è stata scelta la misura della sospensione al pubblico ufficio. In totale, al momento gli indagati a vario titolo sono in 46.

Trapani, torture in carcere. Arrivano arresti e sospensioni

In seguito ad accuse a vario titolo per concorso di tortura, abuso d’autorità contro detenuti e falso ideologico, sono stati fermati venticinque poliziotti penitenziari che operano nel carcere Pietro Cerulli, struttura situata a Trapani.

I 25 soggetti – come emerso in queste ore – sono stati raggiunti da misure cautelari e interdittive. Per 11 di loro sono scattati gli arresti domiciliari, mentre per altri 14 agenti coinvolti in questa inchiesta la sanzione è imposta è quella della sospensione dal pubblico ufficio. A seguito dei decreti di perquisizioni emessi nelle scorse ore, inoltre, il totale del numero di indagati è di 46.

Trapani, violenza in carcere. Le indagini

Le indagini sono partite nel 2021, anno in cui arrivarono alcune denunce da parte dei detenuti del carcere Pietro Cerulli di Trapani. Loro, segnalavano alle autorità l’abuso e i maltrattamenti subiti in alcuni luoghi senza telecamere, inizialmente. Quando poi sono state installate, queste avrebbero poi registrato le violenze costanti da parte degli agenti nei confronti di alcuni detenuti. A seguito delle indagini, l’ordinanza del Gip di Trapani – su richiesta della Procura – è stata eseguita dal nucleo investigativo regionale della polizia penitenziaria di Palermo. Il tutto con l’ausilio di alcuni reparti territoriali in coordinazione con il nucleo investigativo centrale.

Le parole di De Fazio di Uilpa polizia penitenziaria

“Apprendiamo con sgomento di un’indagine nei confronti di numerosi appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria in servizio presso la casa circondariale di Trapani per presunti maltrattamenti nei confronti di detenuti e altro. Numerosi sarebbero gli indagati e, fra arresti e interdizione dai pubblici uffici, ben 26 sarebbero le misure cautelari per fatti occorsi nell’anno 2021. Naturalmente, nutriamo incondizionata fiducia negli inquirenti e nella magistratura e auspichiamo che si faccia al più presto piena luce sull’accaduto. Valga per tutti, però, la presunzione d’innocenza, nella speranza che gli indagati possano dimostrare la correttezza del loro operato”. Così Gennarino De Fazio, segretario generale della Uilpa polizia penitenziaria.

“Sono ormai decine le indagini, pressoché in tutta Italia, a carico di appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria e centinaia gli agenti indagati, sospesi dal servizio e talvolta condannati – aggiunge. Ovviamente, chi sbaglia deve essere individuato e perseguito. Ma se a farlo, anche solo in via presuntiva, sono centinaia, diventa evidente la patogenicità del sistema che non solo non protegge, ma evidentemente favorisce e addirittura induce all’errore. Non si può parlare di mele marce, ma è la cesta marcia che fa imputridire tutto ciò che contiene”.

La questione della crisi penitenziaria

“La crisi penitenziaria perdura da troppo tempo ed è ormai giunta al limite del baratro più totale – conclude De Fazio. “Non solo il sovraffollamento detentivo e le carenze organiche, ma anche le deficienze organizzative e negli equipaggiamenti, così come la sostanziale assenza di un vertice. Ci chiediamo se ci sia concretamente e, in tal caso, di cosa si occupi il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, il quale incidentalmente sarebbe anche il capo del Corpo di polizia penitenziaria. Urgono misure tangibili: la polizia penitenziaria è stremata nelle forze, mortificata nell’orgoglio e persino impaurita nello svolgere il proprio lavoro. Chi detiene le responsabilità politiche e amministrative intervenga tangibilmente, altrimenti si faccia da parte. In qualche caso, siamo certi, operatori e detenuti neppure se ne accorgeranno”.