PALERMO – La differenziata non basta. Con buona pace della Regione siciliana, che festeggia gli ottimi traguardi raggiunti nel corso degli ultimi due anni, nell’economia dei rifiuti la raccolta separata delle varie frazioni è soltanto il primo e ovvio tassello di un sistema assai più complesso e che necessita, appunto, degli impianti, cioè di una filiera di trattamento e recupero che in Italia fatica a trovare una sua dimensione e che in Sicilia è quasi del tutto assente. A lanciare l’allarme sul rischio di non poter raggiungere gli obiettivi Ue al 2035, è stato l’Annual Report 2019 di Was, il think tank sulle strategie dei rifiuti di Althesys.
A RISCHIO GLI OBIETTIVI UE
Il rapporto, che è stato presentato ieri, configura diversi scenari di produzione dei rifiuti, mettendo in evidenza gli elementi di criticità legati all’evoluzione del parco impianti e in particolare all’assenza dei termovalorizzatori. Molti di questi, programmati nel corso degli ultimi anni, sono poi rimasti soltanto su carta. La Sicilia è sicuramente uno di questi casi: il governo Renzi, nel decreto sblocca Italia, ne aveva previsti almeno due per valorizzare circa 700 mila tonnellate di rifiuti all’anno come risultato di una raccolta differenziata che avrebbe dovuto toccare la quota del 65%.
Adesso il rischio, a livello nazionale, è che l’Italia manchi di raggiungere gli obiettivi Ue al 2035 che prevedono, secondo le ultime direttive sull’economia circolare, il raggiungimento dell’obiettivo al 65% di recupero di materia dai rifiuti urbani e il limite del 10% del conferimento in discarica. Numeri da sogno per una Sicilia che ancora fino al 2017, ultimi dati ufficiali di Ispra, conduceva in discarica circa il 70% dei rifiuti urbani prodotti. Senza nuovi termovalorizzatori si perderà la metà della capacità attualmente presente in Italia.
RACCOLTA INUTILE SENZA IMPIANTI
La media nazionale di raccolta differenziata oscilla intorno al 50%, eppure si prevede che, entro il 2035, oltre al 65% di riciclo (attualmente al 42%) ci sia anche il recupero energetico al 25% (18% il dato italiano). Numeri che dovranno chiaramente derivare da una ulteriore spinta della differenziata che dovrà portarsi fino al 76%.
Dietro le statistiche ci sono però dei numeri che non convincono: lo studio Althesys precisa infatti che in tutti gli scenari di produzione di rifiuti urbani previsti (da un minimo di 28,3 a un massimo di 32,7 milioni di tonnellate) esiste un deficit nazionale tra capacità autorizzata per la termovalorizzazione e il fabbisogno al 2035 che varia da 1 a 2 milioni di tonnellate. Altri 3 milioni di deficit potranno derivare dall’invecchiamento degli impianti in caso di mancato aggiornamento.
DISEQUILIBRIO TERRITORIALE
È chiaro che esiste un problema di distribuzione regionale, un elemento messo già in evidenza cinque anni fa dallo studio effettuato dai tecnici del governo per delineare lo Sblocca Italia e la quota di rifiuti da assegnare alle varie Regioni. Non a caso la Sicilia è attualmente sprovvista di impianti e si trova a non trovare spiragli di dialogo, perché il ministro Costa ha espresso in diverse occasioni la sua assoluta contrarietà a questi impianti.
CUFFARO: L’ULTIMA ACCUSA
Nei giorni scorsi è stato Salvatore Cuffaro, governatore isolano tra il 2001 e il 2008, a tornare sul tema dei termovalorizzatori che ai tempi del suo governo erano stati al centro dibattito, prima che successive indagini ne evidenziassero alcuni passaggi poco chiari. Per Cuffaro “il governo che è venuto dopo di me – ha dichiarato alla Commissione regionale antimafia – disse che lì (nei termovalorizzatori, ndr) si annidava il malaffare. No, il vero malaffare e illegalità si annidano da un’altra parte, dove sono stati messi i soldi: nelle discariche”.
Con il blocco dell’appalto per i termovalorizzatori, ha aggiunto, si sono mandati “in dissesto finanziario i comuni” e inoltre “gli ambienti mafiosi semmai erano molto preoccupati per la costruzione dei termovalorizzatori perché non avrebbero più potuto lucrare sulle discariche, dove si annida il malaffare”. Il riferimento di Cuffaro corre al suo successore, Raffaele Lombardo, che però non cita mai direttamente.
Parla l’esperto
“Servono anche una decina di impianti di compostaggio”
ROMA – Entro il 2035 serviranno all’Italia 4 o 5 termovalorizzatori delle dimensioni di quello di Acerra e una decina di impianti di compostaggio per i rifiuti organici, collocati nel Centrosud. È l’opinione di Alessandro Marangoni, direttore scientifico della società di consulenza aziendale Althesys, intervistato dall’Ansa a margine della presentazione a Roma del rapporto annuale Was sul trattamento dei rifiuti in Italia. “Sul recupero energetico – ha detto Marangoni – noi stimiamo che da qui al 2035, l’anno dell’obiettivo Ue del riciclo al 65%, servano tra 1 milione e 2 milioni di nuova capacità di termovalorizzatori. Grosso modo, 4 o 5 impianti delle dimensioni di quello di Acerra. Il gap è soprattutto al Centrosud, a cominciare da Roma”.
“Questa è una stima che considera solo la situazione attuale – ha aggiunto Marangoni -. Bisogna poi considerare che gli impianti esistenti hanno un ciclo di vita, e quindi al 2035 sarà necessario rinnovare una parte di quelli esistenti. Parliamo di altri 3 milioni di tonnellate, che si aggiungono alle precedenti, distribuite su tutto il paese”.
Per i rifiuti organici, spiega l’esperto, “gli impianti ci sono, e al Nord sono anche in sovracapacità. Questa abbondanza copre in parte il deficit che si concentra al Centrosud. Gli impianti sono mal distribuiti sul territorio. Sarebbe necessario avere gli impianti vicini a dove l’organico viene raccolto, invece di farlo viaggiare”.
“Noi parliamo di un deficit di capacità al Centrosud e isole di circa 1 milione di tonnellate, che oggi è coperto dagli impianti del Nord – ha concluso Marangoni -. Se considerassimo impianti dell’ordine delle 100.000 tonnellate ciascuno, parliamo di una decina di impianti di compostaggio, che però debono essere collocati nei luoghi adatti”.