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Un farmaco antigotta contro il Coronavirus, il progetto promosso da uno studio tutto italiano

ROMA – Valutare il possibile trattamento dell’infezione da Coronavirus con la colchicina, farmaco utilizzato nei disturbi su base auto-infiammatoria e nella gotta. È questo l’obiettivo primario che si pone il nuovo protocollo di studio “Colvid-19”. Il progetto è promosso dalla Sezione di Reumatologia del dipartimento di Medicina dell’Università di Perugia e realizzato sotto l’egida della Sir (Società Italiana di Reumatologia, che finanzia anche la ricerca), della Società italiana di Malattie infettive e tropicali (Simit) e dell’Associazione italiana Pneumologi ospedalieri (Aipo). L’obiettivo è reclutare 308 pazienti ospedalizzati, colpiti da Covid-19, per i quali però non è ancora necessario il trattamento in terapia intensiva.

“La colchicina è un vecchio farmaco che da molti anni utilizziamo contro alcune patologie infiammatorie acute, come gotta e altre forme infiammatorie croniche – afferma Roberto Gerli, presidente eletto di Sir -. Presenta delle peculiarità e delle potenzialità estremamente interessanti. Il farmaco può avere un’azione antivirale, ma contemporaneamente è in grado di bloccare la risposta infiammatoria del sistema immunitario senza però causare una immunodepressione. Sono tutte caratteristiche che possono essere sfruttate per limitare e quindi prevenire alti livelli di infiammazione responsabili dei danni d’organo determinati da un agente patogeno estremamente pericoloso e insidioso come il Coronavirus”.

Lo studio Colvid-19 si svolgerà sull’intero territorio nazionale e potranno partecipare tutti i centri che inoltreranno una richiesta. Dai dati finora disponibili emerge che “circa il 25% dei pazienti ricoverati, a causa del virus, ha un peggioramento clinico che causa la necessità di ventilazione meccanica o il ricovero in terapia intensiva. Dobbiamo quindi trovare nuovi trattamenti per ridurre l’infiammazione polmonare e di altri organi e di conseguenza le ospedalizzazioni. Così sarà possibile dare nuove chances di sopravvivenza e ridurre accessi e ricoveri nelle strutture sanitarie. Stiamo inoltre già lavorando – conclude Gerla – a nuovi progetti di studio per il coinvolgimento di pazienti anche a livello domiciliare”.