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Ventotto anni fa l’omicidio di Serafino Famà “Avvocati minacciati, emergenza nazionale”

CATANIA – Ieri mattina è stata deposta una corona di fiori nello slargo di piazzale Sanzio intitolato alla memoria del compianto avvocato Serafino Famà, ucciso a Catania il 9 novembre di 28 anni fa, nel 1995, da un sicario solitario che agì per conto di una cosca mafiosa. Alle 11 in Tribunale il ricordo del legale trucidato alla presenza delle autorità giudiziarie civili e militari.

Nel pomeriggio nella Sala adunanze del tribunale si è tenuto il seminario su “La pienezza del mandato difensivo tra Portale e Riforma Cartabia – L’avvocato tra il dovere difensivo e l’autotutela” organizzato dalla Camera penale di Catania. Al tavolo dei relatori il presidente della Camera penale, avv. Francesco Antille che ha moderato i lavori, l’avv. Luigi Miceli, componente giunta nazionale UCPI, Antongiulio Maggiore, consigliere della Prima sezione della Corte di Appello di Catania e gli avvocati Fabrizio Seminara, componente COA Catania e Letizia Galati.

Il seminario oltre a ricordare l’avvocato Famà si è soffermato sul mandato difensivo alla luce della riforma Cartabia e non sono mancati distinguo, critiche e polemiche. Per il presidente Antille “è utile sottolineare che le sentenze che hanno condannato gli autori dell’omicidio Famà hanno scritto ormai intangibilmente che il nostro collega è stato ucciso per avere compiuto il proprio dovere di avvocato. Quindi da questo punto di vista la riflessione che si può fare è che la nostra terra ha pagato prezzi altissimi nella lotta alla mafia. Si pensi ai sacerdoti uccisi, ai giudici, agli avvocati e ai rappresentanti delle forze dell’ordine… Peraltro aggiungo che l’Unione delle Camere penali ha considerato la tematica degli avvocati minacciati una questione prioritaria di levatura nazionale. Dalla morte dell’avvocato Famà inoltre vengono fuori importanti riflessioni sul futuro della libertà dei cittadini che sarebbe maggiormente garantita dalla libertà degli avvocati”.

Il presidente si è anche soffermato sulla professione legale in una terra difficile come la Sicilia. “Sono innumerevoli gli avvocati siciliani che hanno subito purtroppo le ritorsioni dei propri assistiti o di altri in una situazione di eccezionale e drammatico pericolo. In occasione quindi della commemorazione del collega ucciso intendiamo rimarcare che l’avvocatura vive e si deve occupare e vivere solo di diritto”. Antille infine si è soffermato su parte del suo intervento al seminario di ieri pomeriggio. “Nel mio intervento – ha detto – ho messo il dito sul pericolo per gli avvocati che genera la Riforma Cartabia per la quale qualcuno ci lascerà le penne…”.

Sulla commemorazione è intervenuta anche la figlia de legale ucciso, avv. Flavia Famà, che lasciò la città di Catania venti anni fa per trasferirsi al Nord. “Vorrei chiedere al sindaco di Catania Enrico Trantino che fine ha fatto l’iter per l’intitolazione dell’intero piazzale Sanzio alla memoria di mio padre”. La Famà chiama in causa le istituzioni della città etnea e ritiene importante che “il capoluogo etneo si riappropri della figura di mio padre iniziando dall’intitolazione di tutto il piazzale dove venne ucciso e non soltanto di una piccola porzione di quella che in realtà oggi non ha neanche la conformazione di una piazza, ma di un perenne cantiere. Io mi auguro, quindi, che questa nuova amministrazione riesca a sbloccare l’iter d’una vicenda che fu avviata tanti anni fa con una determina dall’ex sindaco Raffaele Stancanelli. Un caso – ha puntualizzato – che trovo poco decente e poco rispettoso della memoria di un uomo che ha sacrificato la vita per il rispetto di un principio fondamentale della nostra Costituzione”.

Per la figlia del legale ucciso, lo stesso discorso vale per il paese d’origine dell’avv. Famà, Misterbianco, grosso centro alle porte di Catania, “che – puntualizza Flavia Famà – solo a parole ha detto che vuole intitolare qualcosa a mio padre. Questo scenario- ha concluso – dimostra come la Sicilia orientale abbia fallito nel ricordo di queste figure antimafia. Mentre a Palermo hanno avuto un sussulto dopo le grandi vittime di mafia, il Catanese fa ancora fatica a riconoscere questi martiri”.