Il 12 giugno i messinesi non dovranno scegliere soltanto sindaco e consiglieri comunali e circoscrizionali, ma dovranno decidere anche se trasformare o meno le frazioni dell’ex XII e XIII quartiere (6.170 ettari tra costa e coline) nel Comune autonomo Montemare.
In realtà, oltre a questo referendum locale, ce ne saranno altri cinque nazionali sulla Giustizia e questo secondo il Comitato promotore che da oltre un decennio si batte per la costituzione di un nuovo Ente locale, creerà caos “motivazionale e politico”.
Dopo la decisione del commissario ad acta Vincenzo Reitano di indire la consultazione referendaria lo stesso giorno delle amministrative, il legale rappresentante del Comitato, l’avvocato Filippo Brianni, ha fatto richiesta di fissare un’altra data “perché esiste una norma – ha ribadito – che esclude esplicitamente questa sovrapposizione, si tratta dell’art. 8 del Decreto legislativo 267/2000 che per materie di esclusiva competenza locale, dispone che tali referendum non possono avere luogo in coincidenza con operazioni elettorali provinciale, comunali e circoscrizionali”.
Il rappresentante del Comitato ha parlato anche di un “concreto rischio di politicizzare indebitamente, quella che invece deve essere primariamente la libera scelta per una diversa futura prospettiva gestionale ed istituzionale del nostro territorio, sulla quale non deve pesare dunque alcun tipo di pressione, come invece sta già avvenendo, legandola strettamente alla campagna elettorale in corso”.
I temi del decentramento saranno sicuramente affrontati dai candidati a sindaco: delle chiare posizioni non sono state finora espresse, ma nessuno propende per indebolire la città che aspirano a governare.
Il Comitato per il No ha più volte spiegato le conseguenze di un distacco territoriale che per Messina significherebbe perdere circa 8.700 abitanti, ma anche finanziamenti. “Bisogna evitare un disastro senza ritorno – ha detto il presidente Alfredo Mangano – e ricominciare dando risposte alle criticità dei villaggi, includendoli fattivamente nel contesto cittadino. Il segreto della nostra città sta proprio nella sua diversificazione territoriale. Ci sono problemi non indifferenti, ma Montemare non è la soluzione, anzi rappresenterebbe il colpo di grazia per tutti. Bisogna potenziare i servizi, ma lo può fare un grande comune con risorse e organizzazione e non l’ennesimo micro Ente”.
Il nuovo Municipio, secondo i rappresentanti del Comitato promotore del referendum, sarebbe gestito nella fase di transizione – che potrebbe durare anche due anni – da un commissario regionale, che dovrebbe traghettare l’Ente verso l’autonomia economica e politica, con elezione di sindaco e dodici consiglieri comunali. I villaggi avrebbero dei punti di forza tali da potersi sostenere economicamente, secondo il progetto presentato, dallo sviluppo di alcuni settori, dall’agricoltura al rilancio delle aziende agrituristiche con percorsi enogastronomici, la valorizzazione del patrimonio artistico delle fortificazioni e dei dodici chilometri di costa. Temi questi che, riferiti all’intero territorio messinese, troveremo nei programmi elettorali dei vari schieramenti.
Il processo di decentramento è rimasto finora teorico, con disappunto degli stessi rappresentanti delle Circoscrizioni. Le difficoltà nella gestione del vasto territorio peloritano, suddiviso fino al 2005 in 14 Quartieri, si cominciarono a porre quando il commissario Bruno Sbordone decise la suddivisione in sei Municipalità, un accorpamento non funzionale alle diverse esigenze del territorio. L’abbandono da parte delle Amministrazioni centrali, la mancanza di progettualità e attenzione, hanno aumentato le distanze tra i villaggi e il centro della città. La difficoltà delle Municipalità a gestire senza una autonomia economica territori complessi dove servono risposte immediate ai cittadini, ha spinto anche a dure posizioni consiglieri e presidenti di Circoscrizione.
Da tempo nella VI Municipalità, quella che include parte dell’area che vuole il distacco, si chiede una Circoscrizione in più. Il malessere viene quindi da lontano, ma gli allarmi lanciati alle istituzioni centrali sono serviti a poco.
Lina Bruno