Intervista

Vitale, “La Milano da bere gonfiata dalla corruzione. Poi l’economia sana non riuscì a prevalere”

Dal 1950 al 1992 il prodotto interno lordo italiano s’era quadruplicato, consentendo al Paese di diventare la quarta potenza economica mondiale. E nell’anno precedente all’arresto di Chiesa il nostro Pil era stato superiore a quello di Francia e Gran Bretagna. Poi, nel 1993, Mani pulite esplose e mentre le inchieste si allargavano ai colossi industriali l’economia italiana si scoprì improvvisamente sull’orlo del baratro.

L’indicatore più evidente era una lira, che, in quell’anno, si svalutò del 25%. E l’attacco speculativo contro la nostra moneta sarebbe costato novantunmila miliardi, circa quarantasette milioni di euro.

In pochi mesi tutto cambiò, conducendo l’Italia in recessione per la prima volta dopo diciannove anni. E a pagarne lo scotto fu, ancora una volta, il Sud, per le conseguenze negative conseguenti alla stretta sulla spesa pubblica.

Non furono pochi coloro i quali tentarono di dare a Mani pulite la responsabilità di questa situazione, ma un economista d’impresa di vaglia come Marco Vitale, la pensa in maniera decisamente diversa. “La Milano da bere – spiega – era gonfiata dalla corruzione e quel che avvenne dopo il 1992, la rottura di quel sistema malato, che non era per nulla fiorente, va collegato a una congiuntura internazionale più che alla svolta di Mani pulite. Fu una fortuna, anzi, che quella svolta avvenne, perché riaccese una speranza in tanti imprenditori che accettavano quel sistema sol perché costretti”.

Vitale, “bresciano di nascita, milanese di residenza, internazionale per cultura e attività”, ha insegnato in diverse Università tra cui la Bocconi e scritto numerosi libri. Tra questi, nel 2010, con Marco Garzonio, Corruzione, con un esplicito sottotitolo Malattia sociale che distrugge competitività, civiltà, Costituzione e carità. “Ricordo – sottolinea – di aver parlato con imprenditori che erano stati arrestati in quel periodo e che avevano vissuto quell’esperienza sì come una sofferenza ma anche come una liberazione. ‘Non si poteva andare avanti con quel sistema’ dicevano. Mani pulite diede dunque una spinta di liberazione alla ricerca di un’economia che fosse autentica, non fasulla, com’era in gran parte di quella supportata dalla corruzione”.

“La storia di Mani pulite – afferma Vitale – non indusse cambiamenti per fattori non ancora sufficientemente indagati. Probabilmente la ragione profonda risiedeva nel fatto che, conclusa la parte giudiziaria, sarebbe dovuta iniziare da subito la ricostruzione da parte degli imprenditori di un’economia vera. Invece assistemmo all’attacco dei berluscones e i giudici vennero isolati mentre gli esponenti di quella parte sana dell’economia che aveva vissuto Mani pulite come liberazione, rimasero silenziosi a guardare. E la controreazione stravinse. Il risultato fu che la situazione peggiorò, addirittura. E questo perché l’economia seria non aveva saputo prendere in mano il proprio destino positivo, contribuire a cambiare quelle norme che avevano reso possibile al sistema della corruzione di prevalere. Non volevano vivere in un’economia in cui i corrotti vincevano, ma non seppero reagire. Comunque il bilancio di Mani pulite fu positivo: la Milano da bere, o meglio, da mangiare, era orrenda da vivere”.

Nel 2021, secondo Transparency International, che registra la percezione dei cittadini riguardo alla corruzione, questa sarebbe calata in Italia. Tanto che il nostro Paese ha guadagnato dieci posizioni nella classifica dei 180 Paesi esaminati, piazzandosi quarantaduesima, mentre, per esempio, nel 2017,  era al sessantesimo posto. Da una recentissima ricerca di Demos-Libera, invece, risulta che per sei italiani su dieci nulla è cambiato dal 1992 a oggi.

“Io dico – sottolinea Vitale – che la percezione della corruzione si è attenuata. E questo perché i protagonisti di questo fenomeno sono dei grandi professionisti e hanno capito come usare strumenti sempre più sofisticati. Non c’è, dunque, alcun rallentamento dei fenomeni corruttivi. Piuttosto, una maggiore abilità nel mascherarli, nel coprirli. Con astuzie a volte assolutamente geniali”.

Astuzie che potrebbero essere utilizzate massicciamente nell’attuazione di quel Piano nazionale di ripresa e resilienza che nel 2022 consentirà al nostro Paese di gestire i primi 42 miliardi di euro.

La storia italiana – conclude Vitale – è piena di occasioni perdute. E temo che anche questa, grandissima, che sta nascendo con il Pnrr, la stiamo perdendo. Perché stiamo agendo con vecchi schemi, portati avanti sempre dalle stesse persone, con la stessa incapacità di operare. Spero di sbagliarmi, ma ne avremo conferma tra qualche anno”.