Dice il procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso, che “Roma è uno dei punti in cui i grandi traffici internazionali trovano sviluppo sotto il profilo economico nel reimpiego dei profitti illeciti”. Dal che si deduce che la strada per attaccare frontalmente i patrimoni mafiosi è quella di seguire la rete dei canali finanziari, che portano inevitabilmente al momento del reimpiego delle risorse accumulate col malaffare.
è la strada che cominciò a seguire Dalla Chiesa, quasi 30 anni fa, appena giunto a Palermo, con la reazione negativa dei democristiani di Roma che lo isolarono e lo “mandarono a morte” proprio perché la criminalità organizzata fece muro.
Con l’applicazione delle nuove norme di sequestro e confisca, lo Stato ha imboccato la strada giusta, che è quella di svuotare le casse delle organizzazioni criminali. I camorristi temono di più il loro depauperamento economico piuttosto che essere rinchiusi in galera. Infatti, con le risorse finanziarie possono mantenere l’apparato e guidarlo anche quando si trovano nel 41 bis.
Le misure di prevenzione di carattere patrimoniale sono disgiunte da quelle di carattere personale, cosicché i sequestri e le confische possono essere eseguite indipendentemente da quello che accade agli inquisiti o ai condannati.
Michele Prestipino, procuratore aggiunto di Reggio Calabria, è impegnato in prima linea su questo versante. Bisogna augurargli maggiori successi, che possono arrivare sol che l’indirizzo politico del governo non solo non contrasti le iniziative giudiziarie, ma anzi crei un clima di consenso nel Paese su queste attività di bonifica.
Per 60 anni i governi centrali sono stati condizionati dalla malavita organizzata. In molti casi, nel Sud, vi è stata collusione diretta di uomini politici, cui è stato imputato il reato di associazione esterna di stampo mafioso che, però, è talmente evanescente da essere provato con difficoltà. Siccome i processi si concludono in base ai documenti, quasi sempre chi è accusato di tale reato viene assolto.
Vogliamo ricordare che nei primi anni ’50 il cardinale di Palermo Ernesto Ruffini, fratello del ministro Attilio Ruffini, intervistato dalla Rai ripeteva che la mafia non esisteva. Ci sono voluti decenni per arrivare ad ammetterla. Questi ultimi governi, e in particolare l’attuale, hanno intrapreso finalmente la giusta via.
Certo, fa un po’ impressione l’infiltrazione della ‘ndrangheta al Cafe de Paris di Roma, locale storico dove si svolgeva la Dolce vita ben descritta da Federico Fellini, nei primi anni ’60. In quel locale si radunavano intellettuali, scrittori, giornalisti e professionisti. Era un punto di riferimento per la gente che contava, e ora, vederlo provvisoriamente chiuso (perché potrebbe essere affidato in gestione), dispiace.
Il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, dice ai quattro venti che vuole sconfiggere definitivamente la criminalità organizzata, nel Sud. Vogliamo credergli e sosteniamo la linea di fermezza che porti ad eliminare, fra gli altri mali, quello di avere nel sistema economico meridionale un ulteriore elemento distorsivo: l’impedimento della concorrenza con vantaggi non superabili per chi agisce fuori dal sistema. E l’ulteriore danno dell’evasione fiscale e contributiva. Ma la mafia non è solo nel Sud.