Delegare l’affetto, lo fanno circa circa due milioni di famiglie - QdS

Delegare l’affetto, lo fanno circa circa due milioni di famiglie

Angela Michela Rabiolo

Delegare l’affetto, lo fanno circa circa due milioni di famiglie

venerdì 21 Settembre 2012

Intervista a Fabio Lo Verde, docente di sociologia all’Università di Palermo, sulla trasformazione dei ruoli. Affidiamo sempre più spesso la gestione della nostra vita privata a figure esterne

PALERMO – Stiamo delegando l’affetto? Sono 2 milioni e mezzo le famiglie che per motivi principalmente lavorativi inseriscono nel proprio nucleo familiare alcune figure esterne alle quali delegano compiti di accudimento dei figli (baby sitter), della casa (colf), e degli anziani (badanti). Solo a Roma, secondo il Censis, ci sono 45 mila famiglie con badanti e 20 mila con baby sitter, per costi stimati sugli 800 milioni di euro l’anno. Questo, senza considerare la costellazione del lavoro nero.
Nella cultura mediterranea da sempre il “fare famiglia” dipende sia dai rapporti di sangue che dai rapporti di esperienza. Spiega Fabio Massimo Lo Verde, professore di sociologia all’università di Palermo e coautore di “Letture di sociologia della famiglia” che “Queste figure esterne al nucleo fungono da mediatori emotivi e accompagnano da sempre la vita delle famiglie. Pensiamo al personale di servizio sia nel modello di famiglia rurale che in quella urbanizzata. Queste figure sono così rilevanti nell’immaginario da aver generato una letteratura. Il ricorso all’aiuto di queste persone è oggi più diffuso perché le donne sono maggiormente inserite nel mercato del lavoro. Ma per decenni i ragazzi più grandi hanno badato a quelli più piccoli anche se con loro non condividevano necessariamente lo stesso sangue ma piuttosto un altro tipo di rapporto di vicinanza. A loro volta, coloro che erano stati accuditi, crescendo, avrebbero badato ai figli dei loro educatori, rafforzando così la rete di legami extrafamiliari”. Ciò che è cambiato allora non sarebbe il ricorso a figure esterne ma il fatto che sia prevista una forma di pagamento immediata.
Sarebbe comunque improprio parlare di esternalizzazione o outsourcing; anzi si tratta proprio del contrario: le persone esterne vengono incluse nel nucleo e quindi diventano “di famiglia” e assumono un ruolo. Questo ruolo è inferito dai genitori legittimi che concertano con la nuova figura i limiti e le possibilità, l’indirizzo educativo da dare alla prole. Il prof. Lo Verde chiarisce: “Se il modello seguito è puerocentrico, e quindi si persegue un progetto che mette il piccolo e le sue esigenze di crescita equilibrata al centro della discussione, i genitori decidono tra loro e poi con la baby sitter come sviluppare il progetto educativo ma non vi è nessuna sovrapposizione dei ruoli; questi rimangono ben definiti: i genitori dettano le regole che vengono trasmesse al figlio e l’accudente ha il ruolo di collante e fa da trait d’union sia delle decisioni che delle emozioni. Si tratta quindi di un’articolazione diversa del ruolo di genitore e non di un’abdicazione. L’importante è mettere al centro il piccolo e il progetto educativo e collaborare insieme: solo se non vi è un progetto chiaro la funzione di guida si diluisce ma bisogna ricordare che l’imposizione dei limiti è necessaria per i più piccoli. Allo stesso modo, è chiaro che un bambino acquisisca una certa rappresentazione del mondo veicolata dalla propria baby sitter ma il peso dei genitori resta prevalente”.
Oggi la crisi ci costringe di nuovo a rivedere le strategie di gestione della famiglia. In Sicilia soprattutto, le baby sitter e le badanti sono considerate una seconda scelta, chi può fa ancora affidamento su nonni, zii e vicini di casa. La cronaca poi riporta casi di abuso sui più deboli che mettono in discussione il rapporto di fiducia alla base della comunità. Parallelamente e come forma di rassicurazione, le persone si affidano sempre più a stereotipi e pregiudizi come il considerare una certa etnia più consona allo svolgimento di alcuni delicati compiti. Ci troviamo in un periodo incerto di transizione la cui conclusione non è ancora prevedibile. Diventa perciò importante focalizzare l’attenzione sulla famiglia perché attraverso le sue evoluzioni si può capire in che direzione la società si sta muovendo.

Non solo persone che diventano di famiglia ma anche figure professionali per ogni momento della vita. Il fenomeno sembra essere così trendy da finire nei palinsesti televisivi con trasmissioni reality su come trasformare il look, arredare la casa, condurre un ristorante, scegliere il vestito da sposa o dimagrire con tutta la famiglia (compreso il cane obeso che abbaia continuamente e per questo ha bisogno di un terapista comportamentale).

Le persone sono così sole da non avere un amico sincero che le porti a fare shopping al mercato e pagano qualcuno per farsi dire che vanno in giro come spaventapasseri e che devono cambiare. Le insicurezze proliferano nella società dell’apparenza tanto che essere è già un lavoro. Giuseppe Micheli, professore di Demografia all’università Milano Bicocca spiega che queste professioni “Nascono dal processo di secolarizzazione: i riti si svuotano progressivamente di significato, si surrogano coi giochi. Wedding planner e altri specialisti dell’intrattenimento di questo si occupano: di giochi di ruolo. Mettono in scena, amplificano, la rappresentazione dei vecchi riti: battesimi, matrimoni e funerali diventano eventi. Giochi teatrali”.

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