PALERMO – “Essere genitore è il mestiere più antico e difficile al mondo”. Quante volte si è sentita una frase del genere? Tante volte. E se un tempo il termine “mestiere” era incentrato prettamente sull’educazione, sulla crescita e la salute dei figli, oggi acquista una valenza a 360 gradi, dal momento che il genitore svolge “un mestiere” anche fuori le mura domestiche. Ma a pagare di più il prezzo della crisi è di certo la donna che entra a far parte di un circolo vizioso: il basso tasso di occupazione femminile, l’assenza di servizi di cura all’infanzia, le scarne misure di conciliazione tra famiglia e lavoro e la bassa natalità, con una pesante ricaduta sul benessere dei bambini. Questi elementi sono stati analizzati ampiamente nel dossier “mamme nella crisi” di Save the Children.
La difficile condizione delle madri nel nostro Paese è infatti uno dei fattori chiave che determinano una maggiore incidenza della povertà sui bambini e sugli adolescenti. La crisi in se e per sé non è la sola causa a questo grave problema. Se è pur vero che la disoccupazione è oramai una piaga della società, ci sono altrettanto donne che, oltre al mestiere di madre, svolgono un’attività che a volte viene minata da spiacevoli situazioni che si vengono a creare, come le cosiddette “dimissioni in bianco”, la lettera di dimissioni che, in molti casi, viene fatta firmare alla lavoratrice al momento dell’assunzione e che può, a discrezione del datore di lavoro, essere utilizzata se la lavoratrice resta incinta o in altre circostanze, come una malattia o un comportamento sgradito. C’è chi invece decide di rimandare la maternità per ricercare il “posto fisso” o comunque un lavoro più stabile e duraturo che possa portare benefici in termini economici e migliorare lo stato di vita familiare. Ciò ha di certo contribuito al calo del tasso di fecondità che si attesta in media intorno all’1,32% (ad eccezione del Trentino 1,51%, della Valle d’Aosta 1,47% e della Sicilia 1,39%).
Sta di fatto che ancora oggi la maternità è la principale motivazione d’abbandono temporaneo o definitivo del lavoro per molte donne (sia volontariamente che non). La percentuale di occupate è pari al 45,5% per le donne con un figlio, cala al 35,9% per le donne con 2 figli e si riduce ulteriormente fino al 31,3% per le madri con 3 o più figli. Ad essere colpite principalmente sono le donne giovani, spesso sole e straniere, in particolare del Sud. Ma un’altra barriera alle già presenti difficoltà occupazionali sono legate ai servizi per la prima infanzia che sono fondamentali non solo per la conciliazione dei tempi familiari e di lavoro delle mamme, ma per lo stesso sviluppo educativo e relazionale dei più piccoli. In Italia, infatti, solo il 13,5% dei bambini fino a 3 anni viene preso in carico dai servizi, una percentuale lontanissima dall’obiettivo europeo del 33%, ancora una volta con una forte penalizzazione del Sud, dove la Campania si piazza al primo posto con il 2,4% di bambini che accedono ai servizi; segue la Puglia (5,0%), terzo posto la Sicilia (5,2%). Tra le regioni più virtuose troviamo invece l’Emilia Romagna (29,5%), l’Umbria (27,7) e la Valle D’Aosta (25,4).
Un punto d’incontro al binomio lavoro-madre può essere dato da orari più flessibili o dalla formula part-time non soltanto per rispondere alle esigenze familiari, ma anche per colmare le lacune legate in particolare ai servizi per l’infanzia. La scelta del part-time quindi diventa anche esigenza (soprattutto nel Meridione) per rispondere a servizi spesso carenti. In Basilicata, per esempio, il 40% delle donne ha un contratto part time per motivi di cura dichiarati dagli stessi soggetti assenti o inadeguati, seguita da Calabria e Sicilia. Al Sud la percentuale di donne part-time è più bassa rispetto al Nord che vede in testa il Friuli Venezia Giulia (44,2%); mentre la Sicilia si piazza al quart’ultimo posto con il 16,7%.
Nel complesso quindi in Italia il tasso di occupazione si attesta a circa il 50% per le donne senza figli (ben al di sotto comunque della media europea – 62%), ma scende al 45% al primo figlio, fino a perdere circa 10 punti nel caso di due figli, situazione che diventa più drammatica se si pensa all’inadeguatezza dei servizi per l’infanzia da una parte e la crisi economica dall’altro che mettono a dura prova le condizioni di vita della famiglia odierna.

