Pensionati veri, pensionati falsi - QdS

Pensionati veri, pensionati falsi

Carlo Alberto Tregua

Pensionati veri, pensionati falsi

venerdì 05 Ottobre 2012

Col retributivo paga Pantalone

La riforma Fornero (legge 92/2012) ha riequilibrato i conti e ha fatto giustizia sociale, perché ha portato l’età utile per andare in pensione a una soglia che tiene conto dell’attesa di vita.
Data la necessità di far quadrare i conti, il Governo non ha volutamente tenuto conto di tutti quei dipendenti andati via dalle aziende con ricche buonuscite e non ancora approdati alla soglia della pensione. Ma per questi (esodati) sono stati fatti due provvedimenti che comportano spese per oltre 4 miliardi di euro. Uno per tutelarne 55 mila e il secondo per tutelarne 65 mila. Ne restano oltre 100 mila che costituiscono un problema, la cui soluzione è affidata al Governo che nascerà nel 2013.
Ma la riforma non è entrata nel vivo di una palese ingiustizia che si è formata e aggravata negli ultimi 30 anni e, cioè, la liquidazione dell’assegno pensionistico a coloro che non avevano maturato i contributi relativi.

Vero è che la riforma Dini ha previsto per gli assunti dopo il 1 gennaio 1996 solo il metodo contributivo, ma tutti quelli già incardinati in precedenza continuano ad andare in pensione sulla base dell’ammontare degli ultimi stipendi e non dei contributi versati. Questa distorsione accade preponderantemente nel settore pubblico, dal momento che nel settore privato quasi tutti i dipendenti ottengono la pensione in base ai contributi versati.
Ecco che nel periodo citato si sono formate, come accade in Italia, due categorie di pensionati: quelli veri e quelli falsi. I primi sono coloro la cui pensione scaturisce dal semplice calcolo dei versamenti del datore di lavoro e di loro medesimi. I secondi percepiscono una pensione in base a contributi figurativi, cioè non versati e quindi il loro assegno in buona misura è pagato dalla fiscalità generale, cioè prelevato dalle nostre tasse.
Questo è il quadro che rappresenta ancora una volta, in questa povera Italietta, due pesi e due misure, fatti per figli e figliastri. La riforma Fornero, come prima si scriveva, si è ben guardata dal portare equità nel pregresso, non volendo assumersi la responsabilità di intervenire in meccanismi e leggi che hanno creato (e continuano a creare) tanti privilegiati.

 
Cosa avrebbe dovuto fare un Governo consapevole di agire in base al valore dell’equità, tanto sbandierata? Avrebbe dovuto attuare, con legge, un meccanismo di equiparazione fra tutti i pensionati d’Italia a qualunque titolo e di qualunque ente.
Con esso si sarebbe dovuto istituire un contributo di solidarietà pari alla differenza dell’ammontare pensionistico fra il metodo retributivo e quello contributivo.
In altre parole, chi oggi riceve una pensione calcolata in modo figurativo, avrebbe dovuto riversare allo Stato, sotto forma di, ripetiamo, contributo di solidarietà, tutta la differenza che percepisce legalmente, ma immoralmente.
La stranezza della situazione è che su questo punto non è intervenuto il sindacato, che rappresenta tutti i pensionati pubblici e privati, cioè figli e figliastri. Rappresenta, cioè, i pensionati veri e i pensionati falsi, quelli che a pieno titolo si godono la pensione liquidata in base ai contributi e quelli che si godono la pensione come parassiti, in quanto liquidata in base allo stipendio con risorse non proprie.

Sembra ulteriormente strano che sulla materia non abbiano puntato la loro attenzione analisti, economisti, giornalisti che fanno i censori ma non intervengono sul nucleo delle ineguaglianze. Se si fosse sollevata l’opinione pubblica su questo punto, il Governo sarebbe stato costretto a intervenire per formare equità.
Non è possibile  accettare pensionati della Regione Siciliana che dopo appena 20 o 25 anni si godono, nel senso letterale della parola, una pensione immeritata, che però paghiamo tutti noi siciliani. Non è possibile accettare decine di migliaia di insegnanti andati in pensione a 38-45 anni che percepiscono la pensione per ulteriori trent’anni.
Tutto questo ha creato i disagi sociali perché l’iniquità non è mai accettabile. Per intervenire sulla materia ci vuole un Governo forte e autorevole, eletto politicamente, oppure un Governo tecnico meno incline ai compromessi che in questi ultimi mesi sono sempre aumentati di numero  e di qualità.

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