Anziani, in famiglia o in casa di riposo. In Sicilia il welfare è fai da te - QdS

Anziani, in famiglia o in casa di riposo. In Sicilia il welfare è fai da te

Angela Michela Rabiolo

Anziani, in famiglia o in casa di riposo. In Sicilia il welfare è fai da te

mercoledì 17 Ottobre 2012

Presentato l’XI rapporto elaborato dal CnAMC di Cittadinanzattiva sui problemi dell’assistenza socio-sanitaria ai malati cronici. Nell’Isola ticket sanitari tra i più alti e solo 59 posti letto per 100.000 abitanti in strutture residenziali

PALERMO – Oltre ai giovani, la crisi economica sembra colpire duramente anche un’altra fascia debole della popolazione, quella degli anziani che per loro condizione si portano dietro una serie di acciacchi anche invalidanti. Parliamo di migliaia di persone: in Italia nel 2011 (dati Istat) oltre il 50% di chi ha tra i 65 e i 74 anni di età ha almeno una patologia cronica e, di questi, solo il 30% dichiara di essere in buona salute. Il 12,2% degli ultrasessantacinquenni vive inoltre uno stato di povertà relativa e il 5,4% di povertà assoluta.
A far luce sulle problematiche dell’assistenza socio-sanitaria agli anziani malati cronici, e sull’inevitabile risvolto sulle loro famiglie, è l’XI Rapporto nazionale sulle politiche della cronicità “Emergenza famiglie: l’insostenibile leggerezza del Welfare”, presentato a Roma dal CnAMC (Coordinamento nazionale delle Associazioni dei Malati Cronici) di Cittadinanzattiva. Il Rapporto nasce da dati acquisiti da 28 delle 86 associazioni nazionali, rappresentative di oltre 100 mila cittadini affetti da patologie croniche.
Ad occuparsi della cura ed assistenza all’anziano malato cronico è, in più della metà (56%) dei casi, un solo nucleo familiare. Ciascuna famiglia dedica mediamente all’assistenza del familiare anziano oltre 5 ore al giorno. Tale situazione, in circa il 93% dei casi, non permette ai componenti delle famiglie di conciliare l’orario lavorativo con le esigenze di assistenza, al punto che oltre la metà (53,6%) segnala licenziamenti e mancati rinnovi o interruzioni del rapporto di lavoro. A tutto ciò va aggiunta la difficoltà crescente di fronteggiare i costi legati alla cura dell’anziano malato cronico. Occuparsi di un malato cronico è pesante oltre che dal punto di vista economico anche psicologico: l’impegno di gestire la patologia ricade sui familiari così come il carico di malessere del malato stesso. I rapporti che si costruiscono così sono tenuti insieme da un ammasso di sensi di colpa per ogni volta che non si può essere presenti e un altrettanto grande mucchio di rimpianti per non poter condurre la propria vita senza doversi porre il problema della malattia.
 
Un malato in casa, un genitore malato anziano in casa, genera pure dei dissidi nella famiglia allargata: spesso tra fratelli ci si rinfaccia l’assenza nella cura degli anziani genitori e si seminano i contrasti che provvidenzialmente deflagreranno all’apertura del testamento. Tenere un malato accudito a casa si rivela un grosso impegno economico, le famiglie mediamente spendono in un anno circa 8.500 euro per la badante, 3.700 euro per lo svolgimento di visite, esami o attività riabilitativa a domicilio. Quasi 14 mila euro, in media, è il costo per la retta delle strutture residenziali e/o semiresidenziali. Secondo i dati diffusi dalla Corte dei Conti, inoltre, proprio nelle Regioni dove è più critica l’offerta assistenziale, vi è anche una maggiore incidenza di ticket sanitari (diagnostica, specialistica e farmaci) e maxialiquote, con valori procapite relativi al 2011 che oscillano tra i 181 euro del Lazio e i 43 euro del Trentino Alto Adige. Ovviamente più si scende lungo la dorsale appenninica più i prezzi lievitano a fronte di servizi generalmente più scadenti.
I problemi spesso iniziano dopo un ricovero sigillato da un aggravio della diagnosi per il paziente. Se il paziente anziano viene dimesso dall’ospedale, in un terzo dei casi è la famiglia ad occuparsi di tutto, senza aver ricevuto alcun orientamento. Per il 52% delle associazioni, il medico di medicina generale fornisce solo le indicazioni degli uffici a cui rivolgersi, ma poi devono provvedere i familiari; e solo per il 15% di esse, il medico di famiglia fa tutto il necessario dopo le dimissioni.
Nel 76% dei casi, contestualmente alle dimissioni ospedaliere, non viene attivata l’assistenza domiciliare. In due casi su tre, il medico di famiglia non interagisce con ASL e Comuni per l’attivazione dei servizi socio sanitari e per il 70% delle Associazioni non si integra con lo specialista. Riguardo all’assistenza domiciliare integrata (ADI), il 65,3% lamenta difficoltà nell’attivarla, il 50% la scarsa integrazione tra gli interventi di tipo sanitario e di tipo sociale e un numero di ore insufficiente. Quasi nessuno è soddisfatto dell’assistenza che riceve a casa: solo il 27% la considera mediamente adeguata, e per il restante 73% essa è inadeguata.
Sull’assistenza domiciliare integrata, è marcata la variabilità regionale: 1,5% di anziani trattati in Sicilia, nel 2010, a fronte dell’ 11,6% dell’Emilia Romagna. Stessa variabilità per la spesa pro capite per interventi e servizi sociali: si va dai 25,5 euro della Calabria ai 269,3 euro della Valle D’Aosta; con riferimento ai Comuni, si passa dagli 88 euro pro capite di Napoli ai 434 euro di Trieste.
L’altra alternativa, per chi può, consiste nel fare domanda per un posto in strutture residenziali o semiresidenziali. Le liste di attesa arrivano però a sei mesi (39%) e oltre (13%). Secondo gli ultimi dati del ministero della Salute relativi al 2009, la disponibilità di posti letto per le strutture residenziali e semiresidenziali è caratterizzata da una profonda difformità regionale: si passa dagli 897 posti letto per 100.000 abitanti della Provincia Autonoma di Trento ai 59 posti letto della Sicilia. Il 79% delle associazioni ritiene del tutto mediocre l’assistenza ricevuta e poco meno della metà (43,5%) segnala la presenza di forme di maltrattamento: si parla di abbandono del paziente (70%), trascuratezza dell’igiene (70%), forme di aggressività (60%), presenza di piaghe da decubito (60%), malnutrizione (40%), disidratazione (30%) e, nel 10% dei casi, perfino contenzione.
Come al solito, i problemi che si registrano a livello nazionale trovano in Sicilia lo spazio per ingigantirsi e divenire catastrofi. La mancanza diffusa di lavoro e l’attaccamento alla famiglia fanno sì che si preferisca tenere l’anziano ammalato in casa e finora i soldi di pensione e accompagnamento sono serviti a pagare le cure. Come si è visto poi i ticket sanitari in Sicilia costano di più e il numero di posti letto è veramente ridicolo.
A tutto questo si aggiungono le difficoltà per ottenere l’accompagnamento e la sottovalutazione delle condizioni psichiche del malato a cui si prescrivono antidepressivi come caramelle invece di una sicura passeggiata al parco. I medici sembrano poi trattare con leggerezza le dichiarazioni dei pazienti soprattutto quando si parla di dolore. Come denuncia l’XI Rapporto CnAMC, il 46,4% dei medici di base non registra il dolore nell’anziano, il 28,6% lo sminuisce, il 25% lo registra solo se acuto. In ospedale, il dolore è registrato regolarmente solo per il 7% delle associazioni, per il 20% non è mai registrato, e per oltre un terzo (35,7%) viene sminuito o registrato solo se acuto. Situazione pressoché analoga nelle strutture residenziali, dove il dolore è sminuito per oltre la metà delle associazioni e viene regolarmente misurato solo per l’8,7% di esse.
Sembra proprio non esserci scampo al decadimento fisico ma se davvero la civiltà di un popolo si misura dal suo comportamento verso i più deboli allora bisogna veramente chiedersi in che direzione vogliamo andare.

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