“I veti incrociati della vecchia politica. Non temo neanche la mafia. So che sarà una vita blindata, ma questo l’avevo già previsto. Invece mi preoccupano i veti di quei partiti che non hanno perso ancora il vizietto. In quel caso non mi chiuderò in difesa, non sono ricattabile e denuncerò uno per uno i tentativi di condizionare il mio operato con grande determinazione. Se gli ostacoli dovessero essere tali da determinare una situazione di stallo non ci penserei due volte a dimettermi. Non voglio essere un presidente in ostaggio, né tanto meno lascerò la Sicilia in condizioni di paralisi. Ma è chiaro che di fronte a una situazione del genere, dopo aver fatto i nomi e i cognomi dei nemici della nostra regione, riproporrò la mia candidatura. Di certo non cambierò maggioranza così come ha fatto Raffaele Lombardo”.
“Io credo che anzitutto serva un cambio di mentalità. Questo nuovo approccio culturale deve coinvolgere tutti: il potere politico, le parti sociali e le categorie produttive. Se non ci rendiamo conto di essere ormai sull’orlo del baratro tutto diventa inutile o impossibile. Amo dire in questa campagna elettorale che vorrei essere artefice della rivoluzione della normalità. Mi basterebbe consegnare al mio successore una regione normale, tenendo conto che quella che troverò io sarà una Regione presente solo sulla carta intestata. Una Regione polverizzata, devastata per responsabilità che sono remote e recenti. Il primo grande problema sarà quello del bilancio. A tal proposito è necessario rivedere la potestà tributaria siciliana che fino ad ora ha prodotto un vasto contenzioso, tanto con le norme nazionali quanto con le norme comunitarie. Va rivisto il sistema della riscossione: occorre eliminare i ruoli che rimangono ancora aperti e al tempo stesso consentire la necessaria flessibilità a quelle famiglie, a quelle imprese, a quei contribuenti che vorrebbero pagare le tasse ma non sono nelle condizioni di farlo. In Sicilia c’è chi non vuole pagare le tasse e c’è chi non può: io credo che il sistema dell’ex Serit, oggi Riscossione Sicilia Spa, sia stato indicativo nel rivelare un tessuto economico e finanziario assolutamente sfilacciato. La Regione non può non tenere conto di questo. Poi dobbiamo capire se la piena attuazione dello statuto può consentire, in accordo con le norme nazionali e comunitarie, di poter mantenere in Sicilia una parte delle entrate di cui la Regione è soltanto strumento di riscossione. Un aumento delle entrate che passi attraverso un sistema di riscossione equo, responsabile, flessibile e implacabile verso le iene e gli sciacalli, ma tollerante verso chi è bisognoso”.
“Io mi auguro che l’Assemblea regionale possa uscire dalle urne rinnovata, se non nei volti e nei nomi, almeno nella mentalità. Una classe dirigente che non sa leggere le trasformazioni e i cambiamenti della società è una classe dirigente condannata alla sconfitta. Se tutti ci renderemo conto che il mondo intorno a noi sta cambiando, che la Sicilia è arrivata ai limiti del collasso e che pertanto bisogna cambiare metodi di valutazione e condotta, allora anche la Legge sulla stabilità deve essere il primo atto di coraggio che dovrà compiere il nuovo parlamento. Io lo porrò di fronte a questa esigenza, pur nell’autonomia dei due organi, di Governo e dell’Assemblea”.
“Assolutamente sì, non c’è dubbio. Io chiederò 500 giorni di tempo. Un anno e mezzo mi sembra un tempo ragionevole per capire se ci sono le condizioni per affrontare i problemi. Nessuno pensi che mi lascerò logorare dalla poltrona, a me non interessa quanto starò in quel ruolo di responsabilità. Io non voglio essere l’ultimo presidente di una serie da archiviare, ma il primo di una stagione da ricordare”.
“Ritengo che le entrate vadano anzitutto utilizzate per ripianare il debito della Regione e degli enti locali. Per aumentare gli introiti vareremo un piano di dismissione degli immobili. Per esempio noi, come Regione, abbiamo 220.000 ettari di terreno non sempre razionalmente utilizzato. Cerchiamo di capire, a prezzi di mercato, quale tipo di destinazione può avere questo terreno. E così le centinaia di immobili: la Regione è proprietaria di quindici borghi rurali, risalenti tutti agli anni ‘40 e ‘50, che stanno cadendo a pezzi. Perché non indire un bando internazionale e attrarre investimenti per farne delle case albergo o dei centri turistici? Aumentare le entrate, tagliare le spese inutili e improduttive, cominciando con la riduzione delle denaro a disposizione dei vertici della Regione. Io sono disponibile a decurtare il fondo a disposizione del presidente, ma voglio che altrettanto facciano i gruppi parlamentari che al momento utilizzano 12 milioni di euro”.
“È il compenso che venne dato da Roma in cambio della soppressione dell’Alta corte di Sicilia. Si tratta di una legge che va modificata, ma va detto che il Governo può solo proporre. Io resto convinto che dobbiamo ridurre tutte le somme disponibili a disposizione del presidente e dei gruppi parlamentari. Mi auguro che i gruppi parlamentari, anche alla luce degli incresciosi fatti della Regione Lazio, autonomamente avvertano l’esigenza di doversi dare una sobrietà”.
“Occorre che il settore pubblico venga sottoposto gradualmente a una cura dimagrante in quanto la Regione non può più permettersi di essere un ammortizzatore sociale. Ma non basta. I 20 mila dipendenti regionali vanno motivati, razionalizzati e destinati a quei settori nei quali si registrano maggiori carenze. Mi rifiuto di pensare che tra questi 20 mila non se ne trovino almeno mille che possono essere utilizzati per tenere aperti i siti culturali o archeologici. E lo stesso vale per i dirigenti: sono oltre 2 mila come voi avete mille volte scritto. Perché non valorizzare i dirigenti piuttosto che ricorrere alle consulenze esterne che sono uno strumento antico e clientelare? È necessario far capire ai dipendenti della Regione che la sfida si può vincere solo se il Governo e il Parlamento da un lato e la macchina burocratica dall’altro sottoscrivono questo patto di lealtà”.
“È chiaro che tra precari forestali, della scuola e degli enti locali, ci troveremo a gestire un’eredità pesantissima frutto delle responsabilità politica di chi negli ultimi 25 anni ha governato la Sicilia cercando il consenso tra la disperazione di tantissime persone, costrette a vivere nella incertezza del domani. Di certo io non manderò a casa nessuno, ma mi impegnerò perché non ci sia più un nuovo precario nel settore pubblico. Ma come assicurare lo stipendio ai 40 mila precari? Attraverso un confronto con il governo nazionale. Nel 2006 e nel 2007 la finanziaria del Governo Prodi consentì la stabilizzazione di alcune migliaia di precari. Diventa cruciale ottenere la deroga al patto di stabilità e la deroga alla norma secondo la quale per ogni precario che assumi devi assumerne un altro attraverso procedure concorsuali. Io ho il dovere di garantire che migliaia di famiglie, che vivono con soli 700 euro al mese, non finiscano sulla strada”.
“Fino ad oggi gli investimenti sono stati scoraggiati dall’assenza di un sistema di servizi adeguato ed efficiente. In un contesto simile è chiaro che gli imprenditori preferiscono investire da altre parti, magari dove il lavoro costa di meno, non c’è illegalità e soprattutto esiste una politica del credito. Bisogna ripensare la Regione: non deve essere più una controparte, ma un riferimento di chi in Sicilia vuole restarci a lavorare e di chi da fuori vorrebbe venire a investire. È fondamentale creare un contesto di ottimismo a favore delle piccole e medie imprese. Accanto a questo obiettivo, che passa attraverso un modello di sviluppo da definire, insieme con gli attori sociali e pubblici, abbiamo poi l’esigenza di dare un ruolo alla Sicilia nel contesto internazionale”.
“C’è una grande opportunità che tutti i governi della Regione non hanno mai colto: la costituzione italiana, all’art. 117, consente ai presidenti della Regione frontaliere e transfrontaliere di poter promuovere accordi bilaterali con Paesi stranieri e con Regioni all’interno dei Paesi stranieri. Non c’è Regione più internazionale della Sicilia: è il pontile dell’Europa nel mediterraneo. Il mio impegno sarà quello di aprire un ragionamento con i Paesi dirimpettai per riconsegnare alla Sicilia un ruolo di avamposto dell’Europa nel Mediterraneo. Noi esportiamo solo il 2,9% del fatturato nazionale all’estero, e va precisato che, di questo 2,9%, il 2% è formato da prodotti raffinati. Occorre alimentare il commercio con l’estero, il turismo, gli scambi culturali: la Sicilia può diventare la piattaforma per la distribuzione dei prodotti ortofrutticoli verso il continente europeo, prodotti che in parte potremmo produrre noi e in parte raccogliere dai Paesi del Nord Africa”.