Agrigento. Al San Giovanni di Dio più sabbia che cemento.
Sequestro. Pochi giorni fa la Procura della Repubblica ha disposto la chiusura dell’edificio perché “a rischio crollo per gravi carenze di tipo strutturale”. Ora si parla di dissequestro parziale.
La rabbia. Il nosocomio è stato per anni come una bomba a orologeria: la mancanza di sicurezza ha messo a rischio l’incolumità di migliaia di persone. Che adesso chiedono giustizia
AGRIGENTO – Tutta la provincia di Agrigento segue con apprensione le soluzioni prospettate nei giorni scorsi tendenti a evitare la chiusura dell’ospedale San Giovanni di Dio. Soluzioni che hanno avuto i primi sviluppi positivi con la custodia giudiziaria del nosocomio affidata dalla Procura della Repubblica al capo della Protezione civile, Guido Bertolaso, nominato commissario della struttura sanitaria cittadina. In base a questo mandato Bertolaso potrà subito disporre gli accertamenti tecnici per “salvare” l’ospedale, disponendone il dissequestro parziale e dando concretezza a ogni possibile intervento su quelle parti della struttura che necessitano di restauri adeguati e urgenti.
In tal senso, il responsabile della Protezione civile ha già preso i primi contatti con alcuni tra i più noti esperti nel campo dell’ingegneria per predisporre uno studio che possa integrare tutte le attività d’indagine già effettuate e consentire al San Giovanni di Dio di continuare a svolgere la sua attività. Una soluzione che sarebbe condivisa anche dalla Procura della Repubblica e che in questi giorni è oggetto di approfondimento per rimodulare il provvedimento di sequestro e allentare la tensione che si registra nella popolazione di tutta la provincia di Agrigento.
Come si ricorderà, il provvedimento di sequestro adottato dalla Magistratura prevede la chiusura del nosocomio – perché “a rischio di crollo per gravi carenze strutturali” – e il conseguente trasferimento di centinaia di degenti, di tutto il personale medico e paramedico e degli addetti ai vari servizi. Più di mille persone che sarebbe impossibile sistemare altrove e un’eventualità che, alla luce dei recenti sviluppi, sembra definitivamente scartata. Si è quindi in attesa che la soluzione prospettata da Guido Bertolaso e condivisa dall’ assessore regionale alla Sanità, Massimo Russo, dal ministro della Giustizia, Angelino Alfano – in rappresentanza del Governo nazionale – dal sindaco di Agrigento, Marco Zambuto, e anche dalla Procura della Repubblica si concretizzi, si pensa tra qualche giorno.
Sulla soluzione verso cui si avvia questa ennesima vicenda agrigentina ha fatto un punto anche il presidente della Regione Sicilia, Raffaele Lombardo, che, in visita all’ospedale, ha dichiarato: “L’affidamento della custodia giudiziaria della struttura a Bertolaso e la proroga sulla scadenza del provvedimento di sgombero, la prosecuzione degli accertamenti tecnici che ci consentiranno di avere delle risposte, e nello stesso tempo la possibilità di intervenire per ripristinare e consolidare la struttura, sono fatti molto importanti che debbono tranquillizzare gli agrigentini”.
Ma nonostante tutto non si è placato lo sdegno della popolazione per questo ennesimo scandalo, la rabbia nei confronti di decine e decine di persone che hanno rubato, truffato e messo a rischio la vita di centinaia di persone. Pavimenti in linoleum staccati qua e là, pareti piene di crepe o ammuffite, finestre sigillate con tende di cartone, bagli da rifare, infiltrazioni di acqua nel cosiddetto piano piastra. Il tutto in una struttura inaugurata appena cinque anni fa, che è costata più di 120 miliardi di lire e per la cui costruzione è stato utilizzato materiale non adeguato, come calcestruzzo di scarsa qualità e più sabbia che cemento. Una bomba a orologeria se si considera la sismicità della zona.
“Una omissione – come ha sottolineato il sindaco di Agrigento, Marco Zambuto – che lascia intravedere reati di un’efferatezza non comune e che vanno contrastati e puniti senza alcuna clemenza”.