Giarre, capitale europea dell’incompiuto. Quando gli sprechi sono uno spettacolo - QdS

Giarre, capitale europea dell’incompiuto. Quando gli sprechi sono uno spettacolo

Antonio Leo

Giarre, capitale europea dell’incompiuto. Quando gli sprechi sono uno spettacolo

giovedì 13 Dicembre 2012

L’amministrazione denuncia: “La Procura non ha mai aperto un’inchiesta per trovare i responsabili”

GIARRE (CT) – Cemento, colate di cemento e ancora cemento. Fare un giro per Giarre, tra la meraviglia e lo stupore, significa spesso restare a bocca aperta non per il suo splendido mare, per il suo caratteristico barocco o per il suo Duomo così imponente, ma per tutte quelle opere incompiute, brutture moderne su cui la natura sembra voler prendere il sopravvento.
Come diceva Luigi Lo Cascio nel film i Cento Passi, interpretando Peppino Impastato, quelle figure maestose diventano quasi parte integrante del territorio: “In fondo tutte le cose, anche le peggiori, una volta fatte, poi trovano una logica, una giustificazione, per il solo fatto di esistere… dopo un po’ tutto fa parte del paesaggio, c’è, esiste, nessuno si ricorda come era prima, non ci vuole niente a distruggere la bellezza”.
Ruderi, scheletri di edifici, campetti per sport poco praticati, diventano un tutt’uno con il resto della città, l’occhio si abitua e quasi passano inosservati. “Impossibile da immaginare, magico da vivere” è lo slogan che campeggia su dei manifesti affissi al Teatro Nuovo, l’incompiuta più antica di Giarre, risalente al 1952, quasi una mascotte di quello che è stato ribattezzato, genialmente aggiungiamo, “Parco dell’incompiuto” dalle menti di Alterazioni Video, che un paio d’anni fa lanciarono la provocazione. Un’idea che aveva trovato anche il consenso del Comune, ma che “non ha trovato finanziamento – apprendiamo dall’amministrazione oggi guidata dal sindaco Teresa Sodano – e che paradossalmente poteva essere l’unico modo per salvare l’irrecuperabile”. E così anche l’idea del Parco delle Incompiute è rimasta anch’essa incompiuta. Quasi una maledizione.
Bisogna pensare che Giarre delle opere rimaste irrealizzate è la capitale europea. Fiumi di inchiostro sono stati riversati per narrare il teatro dell’assurdo in scena a due passi dall’Etna. “Giarre ha 28 mila abitanti e il record nazionale di opere pubbliche incompiute” scrive l’inviato statunitense di Bloomberg Businessweek, Stephan Faris. “Sono venticinque, una ogni mille abitanti”.
Quei terribili anni a cavallo tra il 1960 e il 1980.
Un ventennio che per Giarre è stato una sorta di medioevo, l’età oscura. Erano gli anni in cui la Democrazia cristiana spadroneggiava in tutta l’Isola e ottenere un finanziamento era quasi come chiedere un caffè al bar. “Una volta – spiegano dall’amministrazione al QdS – c’era una modalità di finanziamento che oggi non esiste più, cioè a stralci: in pratica se un’opera costava, poniamo, 2 milioni di euro, la Regione o lo Stato non stanziava immediatamente l’intera cifra, ma solo una parte di essa, promettendo che il resto sarebbe stato erogato a lavori in corso. In realtà finiva che i lavori venivano iniziati, ma mai completati”. Erano anche gli anni delle folli speculazioni edilizie. Molte volte gli appalti venivano aggiudicati da imprese deboli, che aprivano i cantieri ma fallivano a lavori in corso. La cosa strana è che la Procura pare non abbia mai aperto alcuna inchiesta sulle opere salite agli onori della cronaca, rimaste compiute solo nei progetti iniziali. “Nonostante decine di articoli e di inchieste nazionali, libri e via discorrendo – afferma l’attuale amministrazione con una punta di amarezza – non c’è stata mai una Procura che si sia mai interessata di andare a individuare i responsabili di questo scempio, su nessuna delle opere”.
Uno stadio per uno sport regale, sede di un luogo irreale.
Fare ironia sul Campo di Polo a Giarre è troppo semplice. Stiamo parlando dello stadio destinato allo sport praticato dai reali britannici, con una capienza pari all’intera popolazione della città ionica. La prima domanda che sorge spontanea, quasi un sussurro automatico, è perché? Anche qui il contesto dell’epoca spiega molto più di mille ricostruzioni. A quei tempi, i politici benpensanti, affamati di finanziamenti, avevano intercettato i fondi messi a disposizione dal Coni per incentivare la diffusione di alcuni sport particolari. Tra questi c’era proprio lo sport di mazze e cavalli, per il quale era prevista una cifra pari a circa “due milioni e mezzo” di euro (ma qualcuno ha scritto anche 7 milioni di euro). Mica male. L’occasione, si sa, fa l’uomo ladro e a Giarre non ci hanno pensato due volte. “Era solo un escamotage – dichiara l’amministrazione – per realizzare l’opera a Giarre, nessuno aveva intenzione di portare il Polo in Sicilia: un modo per accaparrarsi i soldi. La cosa più grave di questo stadio è che paradossalmente non ha nemmeno le vie d’accesso. Come avrebbero dovuto accedervi circa 20.000 persone? Con l’elicottero? C’è una stradina dove a stento ci passa una macchina. Non hanno neanche pensato a una viabilità di supporto”.
 
Alla struttura accediamo proprio da questa strettoia, quasi invisibile, che “nasconde” una costruzione mastodontica in pieno centro storico. Il terreno su cui dovevano scorrazzare cavalli e cavalieri moderni è trasformato in un campo da calcio di “fortuna”, con le porte tenute ferme da pneumatici, sassi e ciarpame vario. Dal retro si può accedere ai bagni e agli spogliatoi: lavandini divelti, cianfrusaglie, materassi utilizzati come ristoro occasionale per qualche disperato. Dagli spalti lo spettacolo è impietoso, con erbacce a fare da cuscinetti a inesistenti spettatori. Un uomo di colore gira in bici sulla pista d’atletica. Quasi a voler dare un senso al regno del nulla. “Ci vorrebbero milioni di euro solo per demolire le tribune inagibili” spiega l’amministrazione. Ma non è stato trovato nessun finanziamento, neanche dell’Unione europea, per riuscire a fare questo doppio lavoro di demolizione e ricostruzione”.
 

La natura si riappropria delle opere irrealizzate

GIARRE (CT) – Riuscire a entrare nella piscina comunale non è stato affatto semplice. Non esiste un accesso. Scavalcando un muro che dà sulla strada principale, bisogna attraversare una piccola foresta spontanea. Un coniglio in fondo alla strada fa credere che forse la fantomatica struttura sia da qualche altra parte. Ma proseguendo lungo il sentiero eccolo lì: il gigantesco capannone di cemento che avrebbe potuto ospitare le Universiadi. Il condizionale è d’obbligo, in quanto l’unica cosa che ha mai ospitato, oltre alla polvere e alle bottiglie di vetro, è qualche artista di strada che ha voluto lasciare la sua firma. Il progetto risale a metà degli anni Ottanta, ma anche qui il percorso è stato minato dal fallimento delle imprese vincitrici dell’appalto e da finanziamenti mai sufficienti.
“Si è tentato – precisa l’amministrazione – di affidarla ai privati, ma questi tentativi non sono andati a buon fine. Poi è stata comprata dalla Provincia, che ha tentato di trovare degli acquirenti ma senza successo”.
Il tour si conclude con altre due incompiute storiche: il Centro polifunzionale e il Parco Chico Mendes. Del primo, progettato nel 1982, resta solo uno scheletro e un anfiteatro dove al centro del palco fa bella mostra un cactus selvatico. Il Comune ha partecipato a un bando dell’Unione europea per trasformarlo in un laboratorio di arte contemporanea, ma a tutt’oggi non si hanno notizie. Il parco Mendes, invece, è stato recuperato solo in parte: sono stati costruiti dei campi di calcetto gestiti da una società privata. Ma, per il resto, nessuno bambino può venire a giocarci. Le strutture ricreative sono divelte e, all’interno, vi è un edificio che a stento si regge in piedi.

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