Chirurgia plastica, rito obbligato per i cambi di status sociale - QdS

Chirurgia plastica, rito obbligato per i cambi di status sociale

Adriana Zuccaro

Chirurgia plastica, rito obbligato per i cambi di status sociale

giovedì 07 Febbraio 2013

Il 25% degli interventi accompagna gli italiani attraverso matrimoni, separazioni e divorzi. In Sicilia interventi estetici +9%: il corpo che diventa strumento di comunicazione

CATANIA – “Essere o apparire? Questo è il dilemma!” È così che la società contemporanea sembra aver rovesciato il paradigma shakespeariano sull’allontanamento dell’esistenza dalla condizione terrena. Perchè per rispondere alla necessità di piacere (e piacersi) e soddisfare l’esigenza di un cambiamento di status sociale come ad esempio la maturità o il matrimonio, l’uomo del Terzo Millennio scioglie il “dilemma” e punta alla celebrazione dell’apparenza. E lo fa con ogni mezzo.
 
Tra questi, la chirurgia plastica e i processi di modificazione del corpo svettano in cima alla classifica dei moderni “riti di passaggio”, descritti oltre un secolo fa dall’antropologo Arnold Van Gennep come “rituali aventi lo scopo di sottolineare e accompagnare il passaggio di un individuo da uno status all’altro, da una fase della vita a un’altra” (Riti di passaggio, Parigi, 1909). Oggi, infatti, a svelare le antiche matrici e le moderne evoluzioni dei riti di passaggio, è il professore Pietro Lorenzetti, specialista in Chirurgia Plastica, Ricostruttiva ed Estetica a Catania, Roma e Milano, che afferma: “Mai come oggi l’attenzione si e? spostata sul corpo ma il fenomeno e? tutt’altro che nuovo. La letteratura etnografica e le ricerche antropologiche sono ricchissime di esempi piu? o meno cruenti: tagli, incisioni e scarificazioni che determinano l’appartenenza, allungamento di labbra e lobi delle orecchie, l’applicazione di piercing ornamentali sui capezzoli. Senza dimenticare la fasciatura dei piedi delle bambine giapponesi affinche? rimanessero piccole e sottomesse da una deformita?”.
E pure, nonostante gli italiani non ricorrano a feroci rituali di iniziazione come ad esempio l’avulsione degli incisivi ancora praticata tra gli australiani aborigeni, è certo che il 25% degli interventi di chirurgia richiesti nel nostro Paese interessa passaggi di status sociale come matrimoni, separazioni e divorzi.
Nel 2012 si è registrato un aumento di interventi al seno su trentenni, ai fianchi e glutei per le quarantenni, e agli occhi e al volto per le over 50. In Sicilia però, nonostante un condiviso trend pro-chirurgico, l’incremento degli interventi estetici (+7-9%) riguarda per lo più le pratiche esenti dall’uso dei bisturi come per la correzione e il riempimento di rughe tramite fillers, botulino e/o botox, per il ringiovanimento della pelle del viso con laser, per il trattamento della cellulite e delle adiposità mediante mesoterapia. In definitiva, ognuna di queste pratiche di modificazione del corpo tende a elevare l’individualità “apparentemente” diversa, al contesto collettivo, sociale, di gruppo. Il corpo, concepito e utilizzato come strumento di comunicazione, deve essere quindi sottoposto a una esperienza dolorosa (rituale-chirurgica) quale tappa necessaria per l’acquisizione di uno status diverso e più elevato.
Ma da dove nasce questa necessità di vivere ad ogni costo la celebrazione di un rito di passaggio per raggiungere l’appagamento personale? Perchè il singolo individuo e la società intera non riescono a liberarsi dal potere dell’immagine?
Oltre qualsiasi residuo di falsa moralità, ammettendo ogni margine di eccesso e difetto nella logica dell’accettazione sociale, le singole fasi cui la vita di ogni essere umano è destinata – dalla nascita alla pubertà, dalla maturità all’ascesa professionale, dal matrimonio alla procreazione, dalla menopausa all’invecchiamento e così via fino alla morte – possono sì determinare un rito di passaggio ma senza che questo comporti una “alterazione” estetica.
Perchè, le stagioni della nostra vita non dovrebbero essere scandite piuttosto da cambiamenti interiori? Un interrogativo per cui Van Gennep avrebbe di certo risposta, ma qui e oggi, alla coscienza si può cambiare voce, non forma!

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