BERLINO – A partire da questa settimana, uscirà ogni venerdì una puntata dell’inchiesta condotta dal nostro giornale sugli impianti di produzione di energia dai rifiuti indifferenziati (rsu) attualmente esistenti in Italia, in Europa e nel mondo. Obiettivo della nostra ricerca non è solo esibire una fotografia degli stabilimenti tecnologicamente più avanzati, ma anche e soprattutto illustrarne la storia nel più ampio contesto della politica di gestione dei rifiuti della circoscrizione territoriale in cui tali strutture risiedono, in modo da permettere ai lettori di prendere maggiore consapevolezza dell’attuale situazione siciliana e avere dati alla mano che consentano di avanzare a buon diritto proposte concrete per la costruzione di impianti simili in Sicilia.
Attraverso un confronto tra le caratteristiche tecniche di queste centrali e dei piani economici delle aziende che le gestiscono, la nostra analisi ci consentirà di determinare in via definitiva se esse siano o meno convenienti da un punto di vista economico ed ecologico. Su tale argomento sussiste ancora molta confusione, certamente alimentata dalla campagna di Grillo, che della lotta agli "inceneritori" ha fatto uno dei suoi principali cavalli di battaglia.
Nel puntare il dito contro questo nemico nero, il comico genovese non ha fatto alcuna distinzione tra gli stabilimenti di primissima generazione, alcuni dei quali inceneriscono i rifiuti senza ricavarne energia, e quelli di ultimissima generazione, i cui livelli di emissione, grazie al progresso tecnologico degli ultimi quarant’anni, sono stati consistentemente ridotti rispetto a quelli degli impianti più antiquati e conseguentemente regolamentati da una legislazione molto restrittiva.
Il Qds vuole offrire ai propri lettori la possibilità di guardare la questione in maniera più critica (in senso kantiano), fornendo dati, numeri e studi provenienti da diverse fonti, soprattutto straniere, troppo spesso totalmente ignorate. Alla base di tale ignoranza non stanno solo la grande complessità dell’argomento, le barriere linguistiche e il quasi silenzio degli altri giornali italiani. Infatti, nell’epoca dei mezzi di comunicazione di massa, ad avere la meglio è troppo spesso il messaggio mediatico più semplice, rapido e divertente, ed è per tale ragione che gli slogan di Grillo hanno attecchito con tanto successo (si pensi al geniale appellativo "Cancronesi" con cui è stato ribattezzato l’oncologo Veronesi, contrario all’idea che le emissioni di tali centrali provochino il cancro).
La sola pluri-inflazionata parola "inceneritore" rievoca già sentimenti di disprezzo e orrore difficilmente non condivisibili. Il "no" a tali mostri sorge più che spontaneo, perché si pensa subito a impianti che bruciano i rifiuti eliminandone ogni potenzialità in quanto risorsa. Persino la parola "termovalorizzatore" possiede ancora un’accezione negativa, perché sembra fare riferimento ad un impianto che non si limita a bruciare i rifiuti, ma consente di recuperare il calore prodotto dalla loro combustione, la quale in sé sembrerebbe non avere nulla di positivo, tanto che è necessario "valorizzarla".
Per avere un quadro completo dell’argomento, mostreremo i vantaggi economici ed ecologici di tale processo industriale: produzione di energia (e quindi utili) a costo zero; possibilità di recuperare metalli ferrosi e non ferrosi; produzione di ceneri inerti riutilizzabili nell’industria edile; e, infine, un impatto ambientale nettamente inferiore a quello di una qualsiasi centrale elettrica alimentata da un combustibile fossile come la lignite.
Alla luce di ciò, preferiamo mostrarvi anche l’altro lato della medaglia e seguire l’esempio dei tedeschi e degli inglesi, lasciando cioè da parte questa terminologia ormai antiquata e negativamente connotata, riferentesi ad un genere d’impianti ormai decisamente superato, e utilizzando invece i corrispettivi linguistici del termine tedesco "Müllheizkraftwerk" (Mhkw), che significa letteralmente "centrale termoelettrica a base di rifiuti", e dell’espressione inglese "Waste to energy plants" (Wte), ossia "impianti per la produzione di energia dai rifiuti". Sembrerà una banalità linguistica, ma in realtà non lo è, perché attraverso il linguaggio è possibile veicolare surrettiziamente messaggi non immediatamente evidenti.
Introdurre già in un certo termine ciò che si vuole provare, in modo da derivarlo con un semplice giudizio analitico, è una tecnica retorica nota col nome di "petitio principii", che può avere senso per chi vuole impiegare le parole per ottenere ragione e consensi, ma non si addice ad una politica seria, né a maggior ragione ad un giornale indipendente come il nostro, cui spetta il compito di analizzare, contestualizzare, comparare, comprendere, descrivere e proporre soluzioni concrete a problemi concreti.
Se il 90% dei rifiuti finisce in discarica
BERLINO – La Cgcr – associazione con sede nella Parma di Pizzarotti che si è battuta invano contro la realizzazione dell’impianto di Uguzzolo – ha proposto come alternativa alla risoluzione del problema rifiuti nella zona del parmense una forte campagna che punta sull’informazione dei cittadini, per indurli a ridurre i consumi e incrementare la differenziata (rd) fino al 90%, e la costruzione di appositi impianti, gli “estrusori”, per la trasformazione dei resti indifferenziati in sabbia per l’industria edile.
Sebbene un piano rifiuti simile avrebbe potuto avere senso per una cittadina come Parma, dove risiedono circa 190.000 abitanti e la rd ha già raggiunto il 45,9 %, sembra inconcepibile in una realtà come la Sicilia, dove la popolazione supera i 5 milioni di abitanti, la rd è ai livelli più bassi d’Italia (sotto il 10%) e circa il 90% dei rsu finisce ancora nelle discariche. In questi siti i rsu – che diventano risorse solo per i proprietari di tali aree – si trasformano in agenti altamente inquinanti per via della discesa dei liquami in direzione delle falde acquifere e le emissioni di gas naturale prodotto dalla fermentazione aerobica del materiale organico mischiato ai rsu, gas che, ricordiamolo, è fino a 21 volte più pesante della CO².
Sebbene nei paesi etnei si stiano ottenendo risultati piuttosto incoraggianti, la possibilità che la rd in Sicilia arrivi a superare il 90% prima di dieci anni sembra più che remota. Certo è che allo stato attuale la nostra isola ha tre necessità: eliminare i resti indifferenziati giornalmente prodotti e quelli depositati da decenni nelle discariche siciliane; bonificare tali siti; e, infine, costruire impianti energetici per ridurre le tasse e consentire ai siciliani di rendersi il più possibile indipendenti dai combustibili fossili attraverso la produzione di energia a costo zero e a basso impatto ambientale.
Sebbene un piano rifiuti simile avrebbe potuto avere senso per una cittadina come Parma, dove risiedono circa 190.000 abitanti e la rd ha già raggiunto il 45,9 %, sembra inconcepibile in una realtà come la Sicilia, dove la popolazione supera i 5 milioni di abitanti, la rd è ai livelli più bassi d’Italia (sotto il 10%) e circa il 90% dei rsu finisce ancora nelle discariche. In questi siti i rsu – che diventano risorse solo per i proprietari di tali aree – si trasformano in agenti altamente inquinanti per via della discesa dei liquami in direzione delle falde acquifere e le emissioni di gas naturale prodotto dalla fermentazione aerobica del materiale organico mischiato ai rsu, gas che, ricordiamolo, è fino a 21 volte più pesante della CO².
Sebbene nei paesi etnei si stiano ottenendo risultati piuttosto incoraggianti, la possibilità che la rd in Sicilia arrivi a superare il 90% prima di dieci anni sembra più che remota. Certo è che allo stato attuale la nostra isola ha tre necessità: eliminare i resti indifferenziati giornalmente prodotti e quelli depositati da decenni nelle discariche siciliane; bonificare tali siti; e, infine, costruire impianti energetici per ridurre le tasse e consentire ai siciliani di rendersi il più possibile indipendenti dai combustibili fossili attraverso la produzione di energia a costo zero e a basso impatto ambientale.
L’inchiesta giornalistica che nasce dal confronto
BERLINO – Per comprendere meglio la situazione di arretratezza in cui versa la Sicilia nel settore della produzione di energia e della gestione dei rifiuti, la metteremo a confronto con le realtà più virtuose, caratterizzate normalmente proprio dalla rinuncia totale o quasi totale al deposito dei rifiuti non pre-trattati nelle discariche, che potrebbero ragionevolmente essere trasformate in magazzini provvisori per la conservazione di potenziale combustibile. Riporteremo i conti economici delle centrali di Brescia, Peccioli, Berlino, Bellinzona, Londra, Copenhagen e altre città, analizzandole da un punto di vista tecnico, economico e tossicologico.
Al fine di proporre alla regione un programma concreto per un’intelligente gestione dei rifiuti, porteremo alcuni esempi di regioni, come la Renania (Germania), con caratteristiche demografiche simili a quelle della Sicilia. Cercheremo poi di capire com’è avvenuta concretamente la costruzione di tali strutture in Italia e all’estero, occupandoci del tema del finanziamento europeo di tali progetti (project financing); della pubblicazione di bandi aperti ad investitori privati italiani e stranieri; e, infine, dei fornitori, ossia delle aziende esperte nella costruzione di tali strutture, nella formazione del personale che le deve gestire e nell’assistenza tecnica. La quasi totalità dei dati che discuteremo nei prossimi articoli sono disponibili su internet, ma molto spesso vengono pubblicati in altre lingue e, anche quando non lo sono, si trovano quasi sempre all’interno di documenti lunghi e complicati, che richiedono una lettura critica, attenta e paziente.
Nelle prossime puntate ci impegneremo a darvi la possibilità di accedere a tali documenti, decifrandoveli e presentandoveli in modo da permettervi di metabolizzarli nella maniera più ottimale possibile.
Al fine di proporre alla regione un programma concreto per un’intelligente gestione dei rifiuti, porteremo alcuni esempi di regioni, come la Renania (Germania), con caratteristiche demografiche simili a quelle della Sicilia. Cercheremo poi di capire com’è avvenuta concretamente la costruzione di tali strutture in Italia e all’estero, occupandoci del tema del finanziamento europeo di tali progetti (project financing); della pubblicazione di bandi aperti ad investitori privati italiani e stranieri; e, infine, dei fornitori, ossia delle aziende esperte nella costruzione di tali strutture, nella formazione del personale che le deve gestire e nell’assistenza tecnica. La quasi totalità dei dati che discuteremo nei prossimi articoli sono disponibili su internet, ma molto spesso vengono pubblicati in altre lingue e, anche quando non lo sono, si trovano quasi sempre all’interno di documenti lunghi e complicati, che richiedono una lettura critica, attenta e paziente.
Nelle prossime puntate ci impegneremo a darvi la possibilità di accedere a tali documenti, decifrandoveli e presentandoveli in modo da permettervi di metabolizzarli nella maniera più ottimale possibile.
(1. Continua. La prossima puntata sarà pubblicata venerdì 1 marzo)

