Sono 426 le unità vulnerabili censite dalla carta del rischio. Quattro i monumenti inseriti nella black list di Legambiente. La Soprintendenza ha inviato alla Regione un elenco con 12 opere da riqualificare: servono oltre 6 mln €
RAGUSA – Sono 426 i beni culturali ragusani “vulnerabili” censiti dalla Carta del rischio. Un patrimonio inestimabile che ora rischia di scomparire. La Soprintendenza iblea, guidata da Rosalba Panvini, sta provando a salvare il salvabile, ma i fondi a disposizione fino a oggi hanno rasentato lo zero.
Oltre sei milioni di euro la cifra richiesta dall’Ente alla Regione per provvedere a riqualificare 12 beni con forti segni di usura. L’istanza è stata inoltrata sul finire dell’anno scorso, in ottemperanza alla Circolare 7/2009, che impegna ciascuna Soprintendenza a inviare entro il 30 novembre di ogni esercizio finanziario, al Dipartimento regionale per il “Patrimonio architettonico”, l’elenco dei progetti e delle perizie per i lavori di restauro su beni di rilievo “che si propongono di finanziare per il successivo esercizio con i fondi disponibili sul Capitolo ‘776016’”.
Quest’ultimo, infatti, era stato istituito proprio dalla suddetta Circolare con lo scopo di finanziare gli interventi conservativi. Peccato che il capitolo in questione, nell’ultimo rendiconto regionale del 2011, prevedeva solo poco più di 1 milione di euro, con l’aggravante che di esso è stata utilizzato meno della metà, cioè 490 mila euro. Bisognerà capire che fine faranno le nuove richieste, ma i segnali non sono rassicuranti. “La Regione non ha nemmeno i soldi per pagare le tegole dei tetti”, ci rispondevano dagli uffici regionali solo qualche settimana fa. E così il compito delle Soprintendenze, in queste condizioni, diventa quasi impossibile.
Diverse le opere di pregio indicate nell’elenco trasmesso all’assessorato ai Beni culturali. Anzitutto, nel Capoluogo, la sede della Soprintendenza stessa, di proprietà del Demanio regionale, che avrebbe bisogno di interventi di “manutenzione ordinaria e straordinaria” per complessivi 300 mila euro.
A Vittoria sono due i beni che necessitano di restauri: la Chiesa di Sant’Antonio Abate e la Cupola della Chiesa madre di San Giovanni Battista, per un importo rispettivamente di 200 mila e 300 mila euro.
Ma l’intervento più massiccio è quello richiesto per il complesso demaniale del “Palazzo-Torre Cabrera”, una struttura chiusa da decenni, in forte stato di degrado e a cui servirebbero 2 milioni e 400mila euro per tornare a essere fruibile. Mezzo milione di euro è, invece, necessario per restaurare parte della Basilica della Santissima Annunziata. Si tratta di una struttura sorta a Comiso tra il ‘500 e il ‘600 sulle ceneri della Chiesa di San Nicola di Mira, risalente addirittura a poco dopo l’anno Mille. La cupola, in particolare, “soffre da anni di degrado dovuto a infiltrazioni meteoriche”.
Quattro i beni di Scicli rientranti tra le priorità indicate dall’Ente guidato da Rosalba Panvini. Si tratta della Chiesa della consolazione, del Convento della Croce (inagibile e chiuso ormai da decenni), della Chiesa di Santa Maria del Gesù e di Palazzo Busacca. In totale per tutti i lavori di restauro servono 1,4 milioni di euro. Infine, dall’elenco, risultano urgenti: il restauro delle coperture, dei magazzini e degli infissi del Castello dei principi di Biscari, sito ad Acate, per complessivi 450 mila euro. Mentre quasi 700 mila euro è la cifra utile per il consolidamento della Chiesa madre di Monterosso Almo e 200 mila euro per la riqualificazione delle cappelle laterali della Chiesa di San Bartolomeo a Giarratana.
Ma anche da altre parti arrivano segnalazioni sui monumenti iblei a rischio. L’ultima campagna di Legambiente, “Salvalarte Sicilia”, ne ha censiti quattro in provincia. La Chiesa di Santa Croce Camarina, edificata nel VI secolo a.c. e ricostruita più volte, ha perso diverse parti delle mura e gli scavi non hanno alcuna protezione. Il monumento di archeologia industriale “Fornace Penna”, set cinematografico per molti film, è abbandonata a se stessa, ulteriore simbolo del disprezzo per i tesori siciliani. Così come altri due conventi sembrano destinati all’oblio: quello di Sant’Antonio di Padova a Scicli e quello di Santa Maria di Gesù, struttura indicata tra l’altro per ospitare il museo archeologico ibleo.
Insomma il quadro che ne viene fuori è desolante. Ma certo, vista la mancanza di risorse pubbliche, sarebbe opportuno che le Soprintendenze utilizzino le ultime norme in tema di sponsorizzazione dei beni culturali. In particolare la Legge 35/2012, la quale ha semplificato le procedure per la ricerca di mecenati interessati a riqualificare i beni culturali dietro la promozione della propria immagine.
A tal proposito, Rosalba Panvini ha precisato: “Ritengo che sia fondamentale il contributo degli sponsor per gli interventi
a favore della promozione, valorizzazione e salvaguardia del Patrimonio culturale siciliano”.
“L’Istituto che dirigo – ha continuato il soprintendente – si avvale già della partecipazione di Enti pubblici e di privati per la realizzazione di eventi e manifestazioni finalizzate alla promozione e alla valorizzazione delle realtà culturali esistenti sul territorio”.