Incredibile, ancora i siciliani non si incazzano - QdS

Incredibile, ancora i siciliani non si incazzano

Carlo Alberto Tregua

Incredibile, ancora i siciliani non si incazzano

venerdì 25 Ottobre 2013

Politici senza coscienza

Una frase memorabile e lapidaria del mai dimenticato Marcello Marchese, inserita nel libretto Il Malloppo, edito nel 1971, recita: Anche le formiche nel loro piccolo si incazzano. La frase poi divenne il titolo di un libro degli umoristi Gino e Michele, che lo pubblicarono venti anni dopo.
Perché citiamo questa frase? Perché sembra incredibile come la maggior parte dei cinque milioni di siciliani subisca passivamente le vessazioni, le angherie e le prepotenze di una classe politica e burocratica che pur di mantenere i propri privilegi continua a ignorare i bisogni dei cittadini.
Ancor più incomprensibile è l’insensibilità della classe dirigente siciliana, quei cinquecentomila cittadini che dovrebbero avere due comportamenti: uno all’insegna dei principi etici di onestà, equità e responsabilità; il secondo fondato sul dovere di immischiarsi, partecipare e controllare le attività delle istituzioni regionale e locali, proprio come ha indicato Papa Francesco nelle scorse settimane.

I cittadini delle classi disagiate e più povere non hanno molti strumenti per esercitare una pressione nella direzione prima indicata. Mentre è proprio la classe dirigente che ha la responsabilità di intervenire in loro favore quando le istituzioni restano sorde agli stessi principi etici.
A riguardo, vogliamo richiamare Du contrat social di Jean-Jacques Rousseau (1712-1778) nel quale si sosteneva che le classi meno abbienti cedono il potere a quelle dirigenti, ma da esse devono ricevere tutela e benessere.
Questa non è una filippica (dal nome delle orazioni che l’ateniese Demostene pronunciò contro il re di Macedonia Filippo II tra il 351 e il 340 a.C.), ma una semplice constatazione, un’elementare fotografia della situazione, incontrovertibile. Sfidiamo chiunque a sostenere il contrario.
Dunque, occorre che i siciliani si incazzino seriamente e che la parte maggioritaria della classe dirigente, onesta e corretta, esca dalla propria casa, spazzi l’uscio e pulisca la pubblica strada. Fuori di metafora, si occupi della gestione della Cosa pubblica mettendo il fiato sul collo di coloro che hanno l’obbligo e il dovere di gestirla con equità.

 
Il presidente della Regione (non ci importa chi sia, perché qua ne parliamo in quanto vertice istituzionale) ha il dovere di fare preparare al suo assessore al Bilancio (anche in questo caso non ci importa la persona fisica ma solo la figura istituzionale) una Legge di stabilità 2014 che tagli i privilegi di tante categorie di siciliani che continuano a ingrassare a spese della maggioranza dei cittadini dell’Isola, che vive male perché le imprese non possono svilupparsi e perché, per conseguenza, non viene creato vero lavoro.
Confindustria Sicilia e il suo presidente, Antonello Montante, stanno facendo una coraggiosa azione di contrasto alla criminalità organizzata e alla sua infiltrazione nei gangli dell’economia siciliana. Ma questa meritoria azione non è sufficiente perché non ha in sé la propulsione dell’economia.
Ecco perché Confindustria Sicilia e le altri importanti organizzazioni imprenditoriali di tutti i settori (commercio, artigianato, agricoltura, servizi, turismo e altro ancora) devono unire le loro forze per spingere la Regione a tagliare la spesa pubblica improduttiva e clientelare destinando le risorse così recuperate alla crescita.

L’azione delle organizzazioni imprenditoriali dovrebbe essere appoggiata e integrata da quella delle organizzazioni sindacali, le quali devono chiarire all’opinione pubblica, una volta per tutte, se sostengono un progetto di sviluppo oppure l’assistenzialismo.
La parte minoritaria del sindacato, che rappresenta la Pubblica amministrazione, deve essere messa all’angolo perché non causi più danni continuando a difendere i dipendenti regionali che, ripetiamo per l’ennesima volta, sono privilegiati in quanto percepiscono uno stipendio superiore di un terzo rispetto ai loro colleghi statali. E non devono difendere i precari perché sono entrati nella Pubblica amministrazione, lo ripetiamo ancora, con l’unico titolo che è la raccomandazione.
Basta chiacchiere, ora ci vogliono i fatti, altrimenti… ci incazziamo.

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