Al termine di una procedura di licenziamento collettivo, la comunicazione finale (da effettuare entro sette giorni) con il nominativo dei lavoratori in eccedenza e sulle modalità di applicazione dei criteri di scelta deve essere soddisfatta anche in caso di totale cessazione dell’attività aziendale.
Lo sancisce la Cassazione con la sentenza 89/2019 che riguarda un’impresa di Palermo.
I giudici, inoltre, escludono che la chiusura dell’impresa possa rendere priva di utilità la funzione di controllo riservata alle organizzazioni sindacali sull’effettività della scelta del datore di lavoro.
L’articolo 4, comma 9 della legge 223/1991 stabilisce che, entro sette giorni dalla conclusione della procedura collettiva di riduzione del personale, l’impresa comunichi alle organizzazioni sindacali e agli enti territoriali l’elenco dei dipendenti licenziati e le modalità attraverso cui sono stati applicati i criteri di scelta nella selezione degli esuberi.
La particolarità del caso sottoposto alla Corte di cassazione risiedeva nella circostanza che, a monte della decisione di avviare la procedura di licenziamento collettivo, vi era la cessazione dell’ attività aziendale, dalla quale derivava l’interruzione di tutti i rapporti di lavoro.
Nei due gradi di merito l’impugnazione del licenziamento era stata respinta. La Cassazione ha riformato la decisione dei giudici d’Appello, osservando che, anche in presenza di un licenziamento collettivo per cessazione di attività, la violazione del termine di sette giorni per la comunicazione finale comporta l’ illegittimità dei recessi, con conseguente applicazione della sanzione risarcitoria a carico del datore di lavoro.
