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L’Isola dei bambini indigenti. Tasso di povertà al 27,3%

L’Isola dei bambini indigenti. Tasso di povertà al 27,3%

L’obiettivo dell’informativa è sollecitare le istituzioni ad intervenire con un programma straordinario. Rapporto Crc: le famiglie maggiormente in difficoltà sono quelle numerose

PALERMO – L’Italia è uno dei Paesi più industrializzati del mondo: una verità che rende orgogliosi, ma che nasconde tutte le contraddizioni del capitalismo non sostenibile.
Non può essere considerata un vanto, infatti, la percentuale elevatissima di minori a rischio povertà nel nostro Paese: 32,3%, praticamente un bambino ogni tre. Numeri che imbarazzano se confrontati con la media europea segnalata da Eurostat nel 2011 (27%) e con l’importante inversione di tendenza che ha interessato molti Stati membri negli ultimi anni (Romania e Polonia, ad esempio).
Si parla d’Italia, certo, perché siamo un Paese unito, ma risulta quasi superfluo ricordare che quando si parla di povertà e sottosviluppo è specialmente al Sud che occorre riferirsi. Se questa premessa vi dovesse sembrare troppo esagerata e catastrofista, basterebbe dare un’occhiata al sesto rapporto di aggiornamento del gruppo di lavoro Crc (coordinato da Save the children Italia onlus) sullo stato di attuazione della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, di cui abbiamo già avuto modo di occuparci nei precedenti numeri del QdS. La fotografia del rapporto è impietosa: la povertà continua a risultare più diffusa nel Meridione, specialmente in famiglie con tre o più figli (soprattutto minori).
Per capire quanto sia intensa la povertà, occorre valutare di quanto la spesa media per famiglia sia inferiore alla soglia di povertà: scopriamo così che nel Meridione la povertà è più intensa di più di un punto percentuale rispetto al Centro-Nord (22,3% contro 21,1%) e che la Sicilia e la Calabria schizzano rispettivamente al 27,3% e al 26,2%. In queste regioni, inoltre, risultano povere oltre un quarto delle famiglie.
Qual è l’identikit delle famiglie povere? Nel Mezzogiorno il 45,2% delle famiglie considerate povere sono formate da cinque o più componenti. Ciò che, tuttavia, desta maggior allarme, è sapere che le percentuali aumentano lì dove in famiglia ci siano figli minori. Non è difficile intuire l’ingiustizia di queste realtà.
Ancora una volta ci tocca ricordare che dietro i numeri si cela un’umanità ferita, lacerata, oppressa. Scatena in noi la rabbia sapere che i tassi di povertà incidono maggiormente su famiglie numerose e con genitori giovani: come possiamo seriamente pretendere che la natalità aumenti in queste condizioni? Come possiamo anche solo pensare di dare una svolta alla storia della nostra Sicilia se chi nasce al Sud è quasi condannato a crescere in una famiglia povera?
Per i minori questo significa vivere con un destino già segnato, un destino che va faticosamente ridisegnato (lì dove ciò sia possibile). Sempre secondo il rapporto, queste condizioni di povertà al Sud sono incentivate dai bassi tassi di occupazione femminile, dall’altissima percentuale di famiglie monoreddito, dai tassi di disoccupazione vertiginosi, dai bassi livelli di scolarizzazione. Insomma, stando alla fotografia del rapporto del gruppo Crc, il Mezzogiorno d’Italia sembra non aver ancora varcato le soglie del nuovo millennio: il tempo sembra essersi fermato nonostante i passaggi generazionali. A farne le spese sono sempre i più piccoli, i più deboli, i più indifesi.
Occorre però ricordare che questi bambini, questi giovani, cresceranno, diventeranno grandi, affronteranno la vita.
E come la affronteranno? Sapranno plasmare il proprio futuro? Sapranno remare contro le tempeste di una vita contraria o saranno sconfitti dal fatalismo? Non è facile rispondere.
Il rapporto, senz’altro, non ha questo compito. Suggerisce, invece, alle istituzioni, un cambio di rotta, un serio programma straordinario contro la povertà, specialmente quella infantile. E noi? Siamo capaci di rispondere? Vogliamo credere che questi giovani, queste piccole vittime di una crisi che non ricordiamo neppure quando sia cominciata, costruiranno per sé stessi un futuro migliore, grazie all’istruzione e alla propria tenacia.
Vogliamo crederlo, ma non possiamo essere sicuri. Perché spesso chi nasce povero porta nel cuore i segni di quella povertà, di quella rassegnazione. La nostra terra ha bisogno di speranza, di fiducia. E di buone braccia per remare.