Reverse charge, sistema particolare di applicazione Iva - QdS

Reverse charge, sistema particolare di applicazione Iva

Salvatore Forastieri

Reverse charge, sistema particolare di applicazione Iva

mercoledì 04 Dicembre 2013

I casi in cui è il soggetto acquirente del bene o committente del servizio che è tenuto a fatturare. Denominato anche “inversione contabile” (art. 17 D.P.R. n. 633/72)

ROMA – Come è noto, l’IVA viene applicata dai soggetti che effettuano cessioni di  beni  e prestazioni  di  servizi nell’esercizio d’impresa, arti e professioni, attraverso l’obbligo della fatturazione, della registrazione, della liquidazione periodica, della dichiarazione annuale e del versamento.
In alcuni casi, però, espressamente previsti dall’articolo 17 del D.P.R. 633/72, l’applicazione dell’imposta diventa un obbligo del soggetto cessionario o committente, attraverso il sistema comunemente denominato  “inversione contabile” o “reverse-charge”.
Si tratta di un sistema particolare nel quale è il soggetto acquirente del bene o committente del servizio,che è tenuto a  fatturare l’operazione con IVA. Ed a tale scopo deve:  emettere  un apposito documento-fattura oppure integrare con l’IVA quello ricevuto dal fornitore o dal prestatore; eseguire una doppia registrazione sui registri delle vendite e degli acquisti, in dare ed in avere, effettuando in tal modo una operazione contabile, chiaramente finalizzata a far transitare l’acquisto dalla contabilità, la quale è normalmente neutra, tranne che nei casi in cui la legge prevede una detraibilità ridotta. 
I casi in cui è obbligatoria l’inversione contabili sono diversi.
Innanzitutto nel caso di “acquisti intracomunitari” perché così espressamente previsto dal regime riguardante le operazioni intra Ue (D.L. 331/93).
Poi per gli acquisti effettuati presso soggetti non residenti in Italia oppure presso soggetti che pongono in essere operazioni per le quali sarebbe molto difficile l’emissione della fattura da parte del cedente o prestatore, come nel caso dell’acquisto di un servizio effettuato da un soggetto passivo d’imposta  presso un prestatore comunitario o extracomunitario, oppure come nel caso di acquisto di tartufi da raccoglitori dilettanti o occasionali o di acquisto di rottami e di materiali di recupero.
Altre volte per motivi “anti-evasione”, ossia per evitare che alcuni soggetti che operano in settori “a rischio” possano addebitare in fattura l’IVA senza però versarla all’Erario ma legittimando, comunque, il diritto alla detrazione da parte del cessionario o committente.
Per tutte le operazioni soggette al “reverse charge”, quindi, la fattura deve essere emessa obbligatoriamente dal cliente (cessionario o committente) per cui, in caso contrario, il comportamento del fornitore o del prestatore del servizio, che emette fattura con IVA, o del cessionario o committente, che non addebita l’IVA col il sistema del reverse charge, rappresentano comportamenti irregolari e, pertanto, sanzionabili. 
E qui si innesta una questione molto importante riguardante le conseguenze ed il tipo di sanzione applicabile a tali comportamenti.
C’è da dire, infatti, che nonostante l’”inversione contabile” sia finalizzata ad evitare comportamenti fraudolenti, in qualche caso il suo mancato rispetto non è volto all’evasione e spesso non dà nemmeno luogo ad un mancato o insufficiente versamento dell’IVA costituendo, invece, una violazione di natura più formale che sostanziale.
Ma le vigenti disposizioni in materia di sanzioni nei casi di irregolare applicazione del “reverse charge”, previste dal comma 9 bis dell’articolo 6 del Decreto Legislativo 18/12/1997 n.471, sono molto rigorose, prevedendo la sanzione amministrativa da uno a due volte il tributo in caso di mancata applicazione dell’IVA da parte del cessionario o committente, nonchè in caso di applicazione (evidentemente non consentita dalla legge) da parte del cedente o prestatore dell’IVA su operazione assoggettabile, invece, ad imposta a cura del cessionario.
Le cennate disposizioni prevedono, per la verità, anche un’altra sanzione meno pesante, pari al 3%, in caso di erronea applicazione dell’IVA col reverse charge da parte del cedente o prestatore, o del cessionario o committente, ma a condizione che sia comunque avvenuto il regolare  versamento dell’imposta, un concetto, quello riguardante il pagamento del tributo, non ancora sufficientemente definito. 
Quindi, come si può vedere, l’omessa applicazione dell’inversione contabile da parte del cessionario o committente viene assimilata, a tutti gli effetti, ad una omissione di fatturazione.
C’è da dire pure che fino a poco tempo fa l’Agenzia delle Entrate,  con una interpretazione troppo fiscale, oltre a recuperare il tributo che considerava evaso, vietava pure la detrazione della stessa imposta la quale, evidentemente, riferendosi sostanzialmente ad un acquisto,  rappresenta proprio l’IVA “a monte”.
In pratica, magari solo a causa di una cattiva conoscenza della difficile normativa fiscale, l’Agenzia applicava una triplice sanzione: il recupero del tributo, la sanzione per omessa fatturazione d’importo non inferiore al tributo stesso e l’indetraibilità dell’IVA.
Ma, fortunatamente, è stata la stessa Agenzia delle Entrate, con risoluzione n. 56 del 6/3/2009, ad attenuare l’eccessivo rigore di tale interpretazione, riconoscendo il diritto a detrarre l’IVA pagata dopo l’accertamento (oppure la possibilità di evitare direttamente il recupero), seppure con le modalità ed i termini previsti dall’art.19 del D.P.R. 633/72, ferma restando l’applicazione da uno a due volte l’imposta.
Questa interpretazione è sicuramente maggiormente in linea con quella della Corte di Giustizia dell’UE la quale, con sentenza depositata l’8/5/2008 (cause riunite “Ecotrade”C-95/07 e C-96/97), aveva già affermato il principio della salvaguardia della neutralità fiscale dell’IVA, ossia l’impossibilità dell’Amministrazione fiscale di  impedire il diritto alla detrazione da parte di un soggetto passivo che non ha violato obblighi sostanziali.
La giurisprudenza della Corte di Cassazione, tuttavia, non ha sempre condiviso tale interpretazione.
Infatti, con qualche sentenza (n. 10819 del 5/5/2010 n. 20486 depositata il  6/9/2013) ha ritenuto applicabile solo la sanzione, con qualche altra, invece, ha ritenuto pure non detraibile l’imposta recuperata (sentenza n. 20771 dell’11/9/2013).
 

 
Interpretazioni. Uniformarsi alle direttive dell’Ue
 
è auspicabile, pertanto, che la giurisprudenza trovi indirizzo unitario verso questioni della stessa natura, uniformandosi anche alle direttive dell’Unione Europea, possibilmente anche dando una interpretazione meno rigorosa alle condizioni che legittimano l’applicazione della più lieve sanzione del 3%.
Recentemente, però, la stessa Corte di Cassazione, con ordinanza n. 25035 del 7 novembre scorso, è andata oltre, in senso favorevole al contribuente, mettendo in dubbio, addirittura, la correttezza dell’applicazione della sanzione da uno a due volte, e di questo problema ha investito la Corte di Giustizia Europea.
Ha ritenuto, infatti, che l’attuale misura della sanzione potrebbe ledere il principio della proporzionalità, ossia l’esigenza che la pena irrogata sia sempre rapportata all’effettiva entità del danno causato all’Erario.
Speriamo che dall’Europa giunga finalmente una soluzione definitiva ed equa alla controversa questione della regolare applicazione dell’IVA con il sistema dell’inversione contabile.

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