Vediamo qual è. Nel corso di decenni, negli enti pubblici siciliani un ceto politico di scarso livello ha fatto entrare decine di migliaia di persone, seppur con contratti a tempo determinato. Nella scuola, a parte le supplenze per le quali vigeva il principio delle raccomandazioni, molti giovani hanno cominciato a racimolare punti e ad approfittare di leggi clientelari approvate dai diversi governi sotto la spinta del sindacato, venendo così incontro alle aspettative di chi voleva entrare in questa branca della Pa. Lo stesso è accaduto nelle altre regioni meridionali.
Ma dall’Umbria in su non c’è un solo precario, né nelle Pa, né nella scuola. Anzi, in quest’ultima vi sono vistosi buchi nell’organico perché non c’è convenienza economica ad andare ad insegnare.
Nessuna delle mail che riceviamo smentisce i fatti sopra riportati. Dunque, essi costituiscono la realtà.
Fra i giovani che volevano entrare a scuola ve ne erano tantissimi vocati, ma altrettanti che pensavano di sistemarsi con uno stipendio, seppur modesto, indipendentemente dal lavoro e dalla sua qualità. La questione si sposta sui mancati controlli dell’insegnamento e della sua efficacia. Nel nostro Paese, chi entra nella Pa ne esce solo per andare in pensione. In tutti gli altri Paesi, quando non si raggiungono i risultati si viene cacciati.
È ovvio che selezionando il personale in base al merito, chi rimane dentro debba essere pagato di più. Ma rimane dentro solo il personale necessario. Nella scuola italiana invece, a forza di far entrare precari, pur con i concorsi bloccati, al 2008 vi era un esubero di 100.000 buste paga, cioè persone che non servono al Piano organizzativo di produzione dei servizi.
è per questa ragione che abbiamo definito i precari siciliani come privilegiati. Non uno di essi che legge questi editoriali ha mai smentito di essere stato chiamato, uno o 10 anni fa, sol perché il tal uomo politico lo aveva fortemente raccomandato.
Sotto la spinta dell’opinione pubblica è venuta fuori la verità che nessuno di essi osa smentire. è venuto il momento di confessare, perché da questo punto si possa ricostruire un corretto rapporto tra Pa e cittadini, il quale non discrimini tra quelli raccomandati che entrano nella Pa e gli altri che restano impotenti senza partecipare ai concorsi che non vengono più banditi.
Precario, dicci chi ti ha fatto entrare. Comprendiamo le tue aspettative, comprendiamo che pensi di rimanere dove ti trovi. Tutto ciò è umano, ma è fuori dalla realtà siciliana.
Sarebbe molto più logico che ti alzassi dal terreno dei luoghi comuni e ti guardassi in giro per vedere dove è il lavoro in Sicilia, che c’é. Certo, ti porrai il problema di non avere le competenze, che le attività produttive richiedono, ma le competenze si possono accumulare con un percorso formativo serio, (non certo quello proposto dalla Regione) e con la voglia di diventare un professionista capace e desiderato dal mercato stesso.
Spero questa volta di aver fatto emergere l’intento positivo e costruttivo di queste analisi. è chiaro a tutti, ormai, che non uno di questi precari potrà essere stabilizzato, per il semplice motivo che non ci sono più risorse. La strada per risolvere il problema non è chiedere, chiedere e chiedere un posto, ma quella di formarsi per il lavoro che in Sicilia, lo ripetiamo, c’è ed è abbondante. Naturalmente solo per i competenti.
Peraltro, i responsabili delle istituzioni regionale e locali hanno chiaro questa realtà in quanto sono costretti dal patto di stabilità a stare dentro i binari del rigore e, d’altro canto, sanno di avere il doppio del personale di una qualunque analoga amministrazione del Nord Italia. La strada è obbligata. Non c’è scelta.