Antonello Montante, presidente di Confindustria Sicilia, ha detto qualche giorno fa una sacrosanta verità: “Uccide più la burocrazia che la mafia”. Come non dargli ragione!
La grande difficoltà consiste nell’entrare dentro questa piovra vorace, che con i suo tentacoli avvolge il popolo siciliano, lo stritola e lo utilizza parissitariamente per ingigantirsi. Con la malavita organizzata, che aspira risorse vitali al tessuto economico, e la piovra-burocrazia che la soffoca, non avremo speranza di sopravvivere, con il conseguente impoverimento della maggior parte dei siciliani.
La questione è divenuta insopportabile per l’assenza di controllo, di partecipazione, d’intervento da parte di tutta la Classe dirigente siciliana, nella quale sono compresi i sindacati, che non esercita la dovuta pressione su Giunta ed Assemblea regionali, per ottenere in tempi brevi le indispensabili riforme indirizzate a due obiettivi.
Il primo di essi riguarda l’efficientamento (brutto neologismo) della macchina burocratica. Il secondo riguarda la semplificazione delle procedure. Ma i cattivi burocrati hanno proprio nelle procedure farraginose, arcaiche e appositamente complicate, uno scudo a protezione della loro inefficienza e del loro egoismo, e quindi fanno di tutto per evitare che i percorsi siano ridotti all’osso.
Chi dovrebbe costringerli alle semplificazioni? Il ceto politico. Ma potrebbe farlo solo se competente e onesto. Non sembra che fra i novanta consiglieri-deputati regionali ve ne siano tanti competenti e onesti. Né, sembra, che tra i componenti della Giunta regionale, compreso il presidente, ve ne siano tanti onesti e/o capaci.
Quindi, l’ultima spiaggia è la Classe dirigente, che deve esercitare una forte pressione per mandare a casa gli uni e gli altri, chiedendo a voce alta e chiara il commissariamento della Regione, fallita, ai sensi dell’articolo 8 dello Statuto. La Classe dirigente siciliana, approfittando delle riforme costituzionali all’ordine del giorno del Governo Renzi, chieda a voce alta l’abrogazione dello Statuto speciale e l’utilizzo di uno Statuto ordinario.
Il grido di dolore dell’assessore al Lavoro, Ester Bonafede, ridotta in povertà perché guadagna solo diecimila euro al mese lordi, è sintomatico. Si è chiesta la Bonafede, se fosse valutata dal mercato in base alle sue competenze professionali, quanto riuscirebbe a guadagnare?
Questa è la domanda principale che tutti coloro che lavorano nella Pubblica amministrazione, percependo indennità come responsabili di istituzioni e burocrati, dovrebbero porsi.
Un dirigente generale, che percepisce duecentomila euro lordi l’anno, li porterebbe a casa se lavorasse in un’impresa? Se il presidente della Regione (non importa chi sia) lavorasse nel mercato, porterebbe a casa i 311mila euro di indennità, che non ci risulta sia stata ancora ridotta?
Cosicché, in questo scenario, l’ultimo baluardo della lotta alla corruzione è portato dai valorosi magistrati e dagli altrettanto valorosi militari della Gdf, nonché dagli eccellenti Carabinieri e dall’ottima Polizia di Stato. Ma non bastano, perché i reati e le frodi contro la Cosa pubblica sono talmente estesi nella Regione e nelle sue Partecipate, nei Comuni e nelle loro Partecipate, e in tanti altri Enti, per cui la lotta risulta impari.
Abbiamo più volte indicato nel Niai (Nucleo investigativo affari interni) il vero soggetto anti corruzione, ma presidente di Regione e sindaci nicchiano di fronte a questa soluzione, perché hanno paura che venga scoperto il vaso di Pandora in ognuno degli enti.
È vero che i D.lgs 33/13 e 39/13 impongono a tutti gli enti l’obbligo di nominare il responsabile anti corruzione, il responsabile per la trasparenza e l’area della trasparenza in ciascun sito web. Ma questo obbligo di legge è volutamente ignorato.
Sindaci, comunicate gli strumenti per combattere la corruzione negli Enti da voi amministrati. Oppure siete conniventi e correi. I cittadini ne prenderanno atto per le ovvie conseguenze.