Minori difficili, viaggio nell’Istituto penitenziario Malaspina di Palermo - QdS

Minori difficili, viaggio nell’Istituto penitenziario Malaspina di Palermo

Minori difficili, viaggio nell’Istituto penitenziario Malaspina di Palermo

giovedì 21 Agosto 2014

Orticoltura, giardinaggio, cucina e arti grafiche: così si prova a recuperare i giovani autori di reato. Intervista al direttore Michelangelo Capitano: “Se falliamo perde lo Stato”

PALERMO – Se l’emblema della sicurezza sociale resta per molti aspetti l’isolamento di una cella, per il minore autore di reato sono previsti percorsi giudiziari volti innanzitutto alla tutela della sua crescita.
Ma chi è il minore che arriva al circuito penitenziario e quali strumenti sono disponibili per conciliare le esigenze di controllo sociale con quelle educativo-formative?
Ne parliamo con il direttore dell’Istituto penale per i minorenni “Malaspina” di Palermo, Michelangelo Capitano, con riferimento all’esperienza palermitana.
“Attualmente i minori in carico al Servizio sono in gran parte maggiorenni; su 27 ragazzi, 21 hanno più di 18 anni. Ci troviamo però in un momento di svolta – precisa -. Con il decreto legge 92/2014, che estende l’età di competenza dei servizi minorili da 21 a 25 anni, di fatto ci troveremo a ‘ospitare’ ragazzi via via più adulti. Dal 27 Giugno, infatti, il range di età va dai 14 ai 25, con ripercussioni negative in termini di convivenza”.
Riguardo ai reati, il più diffuso, nell’esperienza palermitana, resta la rapina aggravata, in aumento i reati di omicidio e quelli legati alle violenze sessuali.
“In quanto ultima ratio, il minore approda al carcere solitamente alla fine di un percorso di fallimenti rieducativi che determinano scarso impegno sul versante del cambiamento”, specifica Capitano.
Si tratta di una resistenza che affonda le sue radici, da un lato, nelle difficoltà personali e familiari del minore, e dall’altro, nella specificità della fase adolescenziale.
“La fase adolescenziale è di per sé complessa e di difficile gestione”, commenta Isabella Russo, educatrice. “A ciò si aggiungono famiglie problematiche, che hanno già avuto contatti con la giustizia e in cui spesso il fratello, il padre o lo zio sono stati (o sono) in carcere”, sottolinea.
Se i minori si sentono abbandonati dalla famiglia, non abituati a essere “visti”, possono però trovare, in primo luogo nella scuola, un’opportunità per sentirsi realizzati e rivedere criticamente le scelte di vita.
“Tra i nostri ragazzi, sono comuni vissuti scolastici non eccellenti, che vengono ridimensionati perché qui sperimentano un rapporto diverso con la scuola. Grazie a un corpo docente motivato, ci si concentra sullo sviluppo delle proprie risorse, nel rispetto di regole e ruoli – continua Isabella Russo – Certo, non sempre il lavoro è semplice, ma stupiscono sempre le risorse inaspettate che porta la giovane età”.
Accorgersi che qualcuno “scommette” su di loro è il più grande incentivo che i minori hanno a disposizione per impegnarsi nel cambiamento; a tal fine, all’Ipm palermitano, sono previsti corsi professionali, come orticoltura, giardinaggio, cucina, arti grafiche.
Se i minori detenuti possono così sperimentare nuove vie, rimanendo dentro orizzonti di legalità, alcune modifiche a livello legislativo sarebbero utili nel perseguire con maggior efficacia le finalità di reinserimento sociale.
“A mio avviso uno dei più importanti cambiamenti normativi è creare un Ordinamento penitenziario minorile – conclude Capitano – Un ordinamento ad hoc, che non si basi più sulla pura applicazione di quello per adulti, include l’aumento delle ore mensili previste per i colloqui familiari. Un grande supporto lungo il trattamento rieducativo. Il minore, che esce a 25/30 anni, ha tutta la vita davanti ed è necessario attivare un vero cambiamento durante la permanenza in carcere. Viceversa, non solo i ragazzi, ma noi tutti, come Stato, perdiamo tempo e risorse”.

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