La crisi economica acuisce le differenze tra Nord e Sud - QdS

La crisi economica acuisce le differenze tra Nord e Sud

Mariaelena Casaretti

La crisi economica acuisce le differenze tra Nord e Sud

sabato 06 Dicembre 2014

Come aveva anticipato il Quotidiano di Sicilia, il Pil del Sud nel 2013 è sceso del 13,5% rispetto al 2007. I dati Bankitalia segnalano il grosso divario finanziario tra Nord e Mezzogiorno

ROMA – La crisi economica amplia le differenze tra il Nord e il Sud dell’Italia e Bankitalia lo mette nero su bianco nel report “L’economia delle regioni italiane”. All’interno della pubblicazione diffusa lo scorso 4 dicembre, si sottolinea come le due recessioni che hanno coinvolto l’economia italiana negli ultimi 6 anni hanno interessato i diversi territori in maniera non del tutto omogenea.
Nel biennio 2008-09 il brusco calo delle esportazioni ha avuto ripercussioni soprattutto nel Nord Ovest e nel Nord Est e in quello successivo 2010-2011, mentre il Centro Nord iniziava la fase di ripresa beneficiando di una ripresa dell’export, nel Mezzogiorno il prodotto continuava a contrarsi. Successivamente, in seguito ad una forte flessione della domanda interna e ad una diversa struttura economica meno aperta alle esportazione e più  dipendente dall’attività dell’operatore pubblico è sempre il Mezzogiorno ad aver registrato a proprie spese un calo maggiore del prodotto interno lordo: nel 2013 il Pil vi risultava inferiore al livello del 2007 del 13,5%, a fronte di una contrazione del 7,1 nel Centro Nord.
 
Citando parte dell’inchiesta pubblicata dal Quotidiano di Sicilia lo scorso 22 luglio “Se tra l’Italia e la crisi si avverte una certa assonanza, la Sicilia fa perfettamente rima con depressione economica. Infatti, la recessione ha investito tutta la Penisola, da Nord a Sud, senza dimenticarsi del Centro,ma ciò che ha fatto la differenza è stata la capacità di reagire”. Basti notare come dall’analisi dei dati elaborati da Prometeia e Unioncamere e contenuti nell’inchiesta, la Lombardia, regina del Nord è la realtà regionale a registrare la perdita percentuale di Pil più contenuta pari al -5,14%, mentre all’estremo sud è la Sicilia a fare peggio, andando sotto di ben 14 punti percentuali.
E il discorso non risparmia nemmeno l’ambito occupazionale, che vede un calo dei tassi d’occupazione complessivamente del 9,5 % nel Mezzogiorno, a fronte dell’1,1 per cento nel Centro Nord. Secondo la pubblicazione, in entrambe le aree il tasso di occupazione è calato soprattutto per i più giovani, con un calo meno intenso al Sud nella classe di età 15-24 anni  e un aumento più sostenuto al Centro Nord del tasso di occupazione degli individui tra i 55 e i 64 anni, probabilmente per effetto delle recenti riforme previdenziali che hanno registrato tra il 2007 e il 2013, il calo della quota dei pensionati sul totale della popolazione tra i 55 e i 64 anni del 27,5% , rispetto al 18,4% attestato al Sud.
 
Il calo dell’occupazione ha certamente  accentuato l’eterogeneità tra sistemi locali del lavoro e l’aumento di quest’ultima è riconducibile per oltre un terzo al più intenso deterioramento dell’occupazione nel Mezzogiorno e all’aumento, a partire dal 2012, dei trasferimenti di residenza verso il Centro Nord, aumentando di conseguenza la quota di migranti con elevati livelli di istruzione. Nel dettaglio, nella media del triennio 2011-2013, il 43,4 % dei migranti interni aveva tra i 15 e i 34 anni e la percentuale di laureati che dalle regioni del Mezzogiorno cercava fortuna al Nord era del 37,9%.
I divari territoriali si sono ampliati anche con riferimento alle scelte di istruzione terziaria, in quanto la flessione nelle immatricolazioni è stata sì più intensa nel Mezzogiorno, soprattutto tra i giovani appartenenti a famiglie con minori capacità di spesa , ma è anche cresciuta la percentuale di studenti che decidono di intraprendere il percorso universitario nelle regioni  centrosettentrionali, aumentando quindi il flusso di mobilità.
 

 
Gli economisti di palazzo Koch fanno il punto della situazione
 
Gli economisti di Palazzo Koch non si limitano ad elencare dati e nel fare i conti in tasca alle famiglie, affermano che negli ultimi sei anni il calo della spesa per i consumi delle famiglie meridionali è stato superiore a quello del loro reddito disponibile. "Il Mezzogiorno continua a caratterizzarsi per un minor peso dell’indebitamento sul reddito disponibile e una minor quota di famiglie indebitate; il grado di vulnerabilità finanziaria di queste è tuttavia maggiore rispetto al Centro Nord".
Eppure l’attività redistributiva da parte del pubblico genera ogni anno flussi finanziari consistenti in favore del Mezzogiorno, destinati a finanziare principalmente la redistribuzione interpersonale. Guardando invece alle imprese, Bankitalia disegna un quadro in cui quelle meridionali "sono più dipendenti dal credito bancario e fronteggiano condizioni di accesso ai finanziamenti bancari tradizionalmente peggiori".
Nel periodo di congiuntura economica, "l’aumento del numero di imprese razionate è stato sostanzialmente omogeneo tra le due aree del Paese; si è ampliato il divario nel costo del finanziamento", mentre nel caso dell’intervento pubblico “le stime indicano che i flussi netti verso il Mezzogiorno, sono diminuiti a partire dal 2011”.

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