“Sono tra coloro che di fronte alla profonda trasformazione in atto preferiscono parlare di evoluzione piuttosto che di estinzione. I tanti preconizzatori di disastri, che prevedono la fine dei giornali, si sbagliano. Nel mondo oltre 2,5 miliardi di persone leggono ogni giorno un quotidiano e continuano a farlo anche 20 milioni di italiani. Con un assoluto predominio del giornale cartaceo: nel mondo il 93% dei ricavi degli editori deriva ancora dalla carta stampata e un’incidenza percentuale analoga registrano i fatturati delle imprese editrici italiane. La realtà è che negli ultimi cinque anni due fenomeni hanno colpito contemporaneamente il nostro settore. Il primo, la generale crisi economica che ha avuto un pesante riverbero sui fondamentali del nostro business: diffusioni, raccolta pubblicitaria, vendita di prodotti collaterali. Un vero e proprio tsunami che ha travolto il settore, con una perdita di oltre il 50% dei ricavi. Credo che nessun segmento industriale possa affrontare un crollo di queste dimensioni unicamente attraverso operazioni di riorganizzazione, taglio dei costi, meccanismi di adeguamento dei modelli di business. Per di più, non possiamo aspettarci una ripresa a breve. La situazione economica del Paese è infatti ancora connotata da segnali negativi.
Il secondo fenomeno che ha caratterizzato questi anni è la cosiddetta “rivoluzione digitale”, che nel caso dell’editoria giornalistica si è concretizzata nel passaggio da una forma di editoria cartacea pura ad una forma di editoria mista. Il digitale in sé è tutt’altro che un elemento negativo, anzi, nel futuro, apporterà un grandissimo contributo. All’editoria, anche a quella giornalistica. Tuttavia oggi si è a metà del guado: il modello di business tradizionale, quello che sosteneva economicamente le nostre imprese, è in pesante discesa e non esiste ancora un alternativo modello di business sostenibile. Peraltro, nel mercato digitale figurano alcuni player, come Google, che giocano una partita negativa nei nostri confronti”.
“Assolutamente sì. Si tratta di un percorso evolutivo che gli editori di giornali sapranno affrontare con una ancora più attenta gestione delle aziende nella loro migrazione verso il digitale. Il cartaceo non sparirà, ma continuerà ad avere sia una sua specifica funzione di integrazione sia un suo ruolo esclusivo per alcuni contenuti – penso all’arte, alla fotografia, alla moda, al design – per i quali il supporto-carta resta il migliore.
Certo, è necessario rendere sensibili tutti gli stakeholders che ruotano attorno all’informazione giornalistica, perché questo percorso evolutivo sia accompagnato da adeguate iniziative. Credo che ormai la situazione sia talmente pesante da essere stata percepita da tutte le componenti: dalle organizzazioni sindacali dei giornalisti e dei poligrafici, dai distributori, dagli edicolanti e anche dal mondo politico, che da ultimo ha manifestato un surplus di attenzione verso le problematiche rappresentate.
Con tutti, come editori, dobbiamo tenere aperto, con la massima disponibilità, un canale di dialogo che conduca alla scelta delle strade da seguire per uscire dalla crisi. Tra queste, quella di una modernizzazione del sistema distributivo con un progetto condiviso a livello di distributori nazionali e locali e quella della rivitalizzazione del sistema delle edicole, uno dei più importanti terminali attraverso cui gli editori entrano in contratto con il proprio pubblico e che ha sofferto moltissimo. Le edicole sono infatti passata da 35 mila a 28 mila e anche queste registrano gravi perdite. L’informatizzazione delle edicole è in questo quadro un elemento importante che consentirebbe ad esse di allargare la propria offerta e di ridurre le rese e gli invenduti. Si potrà poi ragionare in termini di liberalizzazione con un progetto strategico”.
“Il confronto tra tutte le parti in causa non è rinviabile, vista la difficile situazione in cui versa il settore. Anche le istituzioni sembrano essere finalmente di questo avviso, come dimostrano le recenti audizioni e i tavoli aperti. Personalmente ho avuto alcuni incontri con esponenti di Governo, a cui non ho chiesto contributi diretti, ma investimenti e misure, fiscali e non, che accompagnino l’uscita dalla crisi. Vogliamo risorse per lo sviluppo, non fondi per l’assistenza”.
“Sì, ed è un mito da sfatare. Proprio nel corso di una recente Audizione in Parlamento abbiamo dimostrato come il nostro settore sia in realtà uno dei meno assistiti. E in ogni caso non si tratta di assistenza, ma di contributi – peraltro ridotti, negli ultimi anni, del 70% – che non sono distribuiti a tutti i giornali e a tutti gli editori. Sono risorse destinate ai giornali organi di partito, ai giornali espressione di minoranze linguistiche, alle testate per le comunità italiane all’estero, eccetera. Oppure si tratta di contributi per spese telefoniche. Credo sia necessario sensibilizzare tutti anche su questi temi, passando da una logica di contrapposizione ad una logica di dialogo e di progetto, che ci permetta di presentarci alle Istituzioni con proposte condivise e convincenti che favoriscano la crescita del nostro settore”.
“Gli editori sono visti da molti oggi, soprattutto dai giovani – e qui c’è forse anche una responsabilità degli educatori e dei formatori – come dei dinosauri in via di estinzione, privi di ruolo. È vero il contrario. Una società civile, se non ha un’editoria e una stampa libere, che rappresentino la pluralità delle idee, è una società che si inaridisce. È evidente il ruolo di una informazione giornalistica sana per lo sviluppo del dibattito e del confronto. Ed è questo il mestiere dell’editoria, sia essa quotidiana, periodica o libraria. Sulla polemica tra carta e digitale ho già detto: gli editori non sono affezionati al contenitore, credono nel contenuto. Il loro mestiere è quello di offrire al pubblico contenuti di qualità. Un mestiere insostituibile. Se spariscono gli editori è la cultura stessa che sparisce”.
“Sì, perché per produrre i contenuti di qualità di cui dicevo, gli editori sostengono dei costi. Il complesso delle attività editoriali deve essere remunerato. È questo che si fa attraverso l’acquisto delle copie in edicola, la sottoscrizione degli abbonamenti, gli investimenti pubblicitari. Il fatto che alcuni operatori, come Google, utilizzino i contenuti editoriali altrui senza corrispettivo è una violazione del diritto d’autore che va sanata. E, attenzione, questo è un tema fondamentale, perché sancisce un principio ineludibile: se gli editori non hanno la possibilità, anche in Rete, di monetizzare l’offerta dei propri contenuti finisce il loro lavoro, crolla il senso stesso di fare editoria. C’è poi anche un problema di opacità di questo motore di ricerca, anche nei criteri con cui scegli i contenuti editoriali da proporre nei suoi servizi di news”.
“Il livello di sensibilità dei nostri interlocutori si è molto alzato. Anche perché l’argomento del diritto d’autore si inserisce in un quadro di posizione dominante di Google fortissima anche su altri aspetti. Come principale operatore nel campo del search, detiene infatti una percentuale, in Europa, superiore al 90%. Attraverso il motore di ricerca, censisce gli utenti e li classifica in una serie di profili che serviranno a vendere servizi commerciali e a fini pubblicitari. Un meccanismo di utilizzo di dati che sono stati definiti come Big Data che viola la privacy ed esula dalla volontà stessa delle persone. In Europa, recentemente, si sta prendendo posizione contro Google su questo aspetto.
Ulteriore tema è quello dei ricavi che il motore di ricerca realizza dalla raccolta pubblicitaria fatturata in Italia e il cui ammontare – solo stimato – sarebbe pari, per intenderci, a quello realizzato da quotidiani e periodici nel loro insieme. Google non ha rivelato questo dato. O meglio lo aveva fornito all’Agcom ricorrendo tuttavia subito dopo al Tar perché lo stesso non venisse reso pubblico. La Fieg recentemente ha affiancato l’Agcom in un atto depositato al Tar stesso appoggiando la posizione dell’Autorità tesa alla trasparenza di tutti gli operatori del mercato. Anche perché su questi ricavi, il colosso non paga alcuna tassa in Italia. Le risorse, ingenti, che ne deriverebbero potrebbero – ed è quello che chiedono gli editori – essere investite nella modernizzazione delle infrastrutture digitali nel nostro Paese e nel superamento dei digital divide”.
“Trovo questa misura molto utile, perché si destinano risorse cospicue alla modernizzazione. Ma dobbiamo tener conto che nel processo di trasformazione in atto ci sono realtà diverse: quotidiani e periodici, giornali nazionali e regionali o provinciali. Il ruolo della Fieg è rendere compatibili con le priorità del settore anche la difesa e la tutela delle diverse componenti. La mia ambizione, come Presidente degli editori, è quella di raggiungere un rapporto equilibrato con tutto il sistema federativo e con le diverse tipologie dei prodotti editoriali”.