Catenanuova, tra aranci ed ulivi al confine tra Catania ed Enna - QdS

Catenanuova, tra aranci ed ulivi al confine tra Catania ed Enna

Annalisa Di Stefano

Catenanuova, tra aranci ed ulivi al confine tra Catania ed Enna

giovedì 22 Gennaio 2015

È conosciuta soprattutto come “città del grano”, sorge nell’antico feudo Meliventre

Al confine tra le province di Catania ed Enna, incastonato tra aranci e ulivi in quello che un tempo era il feudo Meliventre, sorge Catenanuova, definito come il luogo più caldo d’Europa. In questo territorio nell’estate del 1999 si raggiunse il record assoluto europeo di temperatura, pari a  48,5°C, che ha fatto sì che Catenanuova divenisse nota come “regina del caldo”.
Catenanuova però è conosciuta soprattutto con l’appellativo di “città del grano”, per via delle distese di campi coltivati a grano che da secoli la circondano. Le stesse di cui riferisce Goethe nel suo “Viaggio in Italia”. Il famoso scrittore tedesco, infatti, la notte del 30 aprile 1787 ebbe modo di sostare nella locanda nel feudo di Cuba, lungo l’antica règia trazzera che metteva in comunicazione i centri dell’entroterra con quelli della parte orientale dell’isola. Sorto in epoca romana come statio per dare riparo ai cavalli che trainavano le diligenze dei viaggiatori che da Palermo si recavano a Catania e viceversa, in questo edificio trovavano ospitalità i viandanti. Nell’ottobre del 1713 vi pernottò anche il re di Sicilia Vittorio Amedeo II di Savoia assieme alla consorte e alla sua corte. Il borgo di Catenanuova fu fondato dal giovane Andrea Giuseppe Riggio Statella, dando seguito al volere espresso dalla madre baronessa nel proprio testamento. Il 24 gennaio 1731 il viceré frà Gioacchino Fernandez Portocarrero concesse al nobile la facoltà di edificare il centro abitato, che assunse il nome di “Terra della Nuova Catena”, facendolo derivare da Aci Catena di cui Riggio era principe.
Il principe fece costruire il suo palazzo di fronte alla piccola chiesa della Sacra Famiglia e, per attirare gente nel territorio, decise di offrire loro una casa ed un appezzamento di terreno, dietro pagamento di un modico censo. La chiesa fu elevata a parrocchia ed ingrandita. Intitolata a San Giuseppe, sorge ancora oggi nella piazza principale del paese e al suo interno conserva il simulacro di San Prospero, patrono del paese, e diverse opere d’arte.
Risale invece al secolo scorso la chiesa dedicata alla Beata Vergine Maria Immacolata, che si trova sul corso Vittorio Emanuele. Fu infatti edificata nel 1908, cinquant’anni dopo l’apparizione della Madonna a Lourdes, avvenuta l’11 febbraio del 1858. Da visitare è anche il piccolo santuario sul monte Scalpello, che custodisce le spoglie dei tre eremiti, morti in odore di santità, che lo edificarono. Il luogo viene considerato sacro e le loro reliquie, chiamate comunemente “Corpora Sancta”, sono oggetto di culto. Eretto in epoca bizantina, l’eremo era dedicato a San Costantino ed officiato dai padri basiliani di Agira, ed in seguito fu donato dal conte Ruggero ai benedettini di Santa Maria Latina di Gerusalemme. Nel 1524 un certo fra’ Filippo Dulcetto, originario di Agira, decise di ritirarsi qui in completa solitudine. Il suo esempio venne seguito da altri frati dell’abbazia benedettina di Agira. Si racconta che all’inizio fossero almeno duecento, e tra di loro vi furono anche fra’ Matteo Rotolo e fra’ Mariano, che in questo luogo ebbero l’apparizione della Vergine Santissima del Rosario alla quale intitolarono il santuario.

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