Chi scommette in un’impresa, ci mette la faccia e i soldi, assume rischi e sopporta un carico fiscale unico al mondo, fra i Paesi avanzati, che in atto è del 43,5 per cento nominale; l’effettiva pressione fiscale supera il 57 per cento. Come dire che ogni cittadino lavora fino al mese di luglio per lo Stato e solo da agosto a dicembre per sé e per la propria famiglia.
Il costo del lavoro pubblico e dei pensionati pubblici è di circa 285 miliardi su 725 di spesa complessiva. Non è più sostenibile sia per l’eccessivo numero di addetti, sia per gli alti stipendi di moltissimi funzionari e dirigenti che per le norme pensionistiche particolarmente favorevoli, tenuto conto che il sistema contributivo è iniziato il primo gennaio 1996.
Nella Pubblica amministrazione vi è un’irresponsabilità generalizzata, nel senso che ognuno non risponde per quello che fa o che non fa, per quanto fa o non fa, per quanto fa bene o male. Cosicchè i bravi e onesti percepiscono lo stesso stipendio di fannulloni e disonesti.
Molti dipendenti fanno un secondo mestiere che è anche quello di consigliere comunale, per il quale oltre allo stipendio del proprio datore di lavoro percepiscono indennità e gettoni per sedute di Natale e Ferragosto. Tutto questo accade perché mancano i Piani aziendali che prevedono organizzazione, procedure snelle ed efficienti, tempi di esecuzione, premi o sanzioni per chi non consegna risultati.
Le stesse procedure non devono essere redatte da burocrati bensì da aziende internazionali che si occupano dell’organizzazione, come McKinsey o Accenture. Non che fra i nostri commercialisti e professori universitari non ve ne siano capaci di formare funzionari e dipendenti, ma spesso sentono gli ordini di un ceto politico corrotto che mira più al clientelismo che non al servizio dei cittadini.
Ci rendiamo conto che l’ipotesi indicata sarebbe immediatamente avversata dalle rappresentanze sindacali dei dipendenti e dirigenti pubblici perché hanno la coda di paglia. Essi parlano sempre di diritti acquisiti creando ad arte confusione: quelli sono privilegi acquisiti, non diritti acquisiti. L’Italia resta in crisi proprio perché nessuno vuole rinunciare ai privilegi acquisiti, infischiandosene se a pagarli sono i cittadini.
Insistiamo molto sulla necessità di rendere efficienti tutte le Pubbliche amministrazioni, di qualunque livello e di qualunque ente. Nessuna riforma statale, regionale o comunale, può far decollare l’economia se la burocrazia non funziona in modo almeno sufficiente, mentre oggi merita un “due”, cioè una bocciatura sonora senza appello né esami di riparazione.
È il ceto politico che deve procedere a una svolta a “U”. Hanno svoltato regioni virtuose, nelle quali la burocrazia funziona discretamente, mentre ve ne sono altre, viziose, nelle quali la burocrazia è pessima. Fra queste ultime primeggia negativamente la Sicilia.
Anche qui, il peso degli stipendi e delle pensioni è eccessivo in relazione alla quantità e alla qualità dei servizi prodotti. Se le Pubbliche amministrazioni siciliane, dalla Regione ai Comuni e agli Enti pubblici, avessero dieci o quindicimila persone in meno, facendo restare le migliori, vi sarebbe un forte risparmio e un altrettanto forte tasso di efficienza.
Solo con riforme shock è possibile ribaltare questa situazione che sta appestando l’economia. Bisogna farla ora. Subito!