Più che uno scudo, un “amo fiscale” per pescare circa 15 miliardi di euro - QdS

Più che uno scudo, un “amo fiscale” per pescare circa 15 miliardi di euro

Sebastiano Ambra

Più che uno scudo, un “amo fiscale” per pescare circa 15 miliardi di euro

giovedì 29 Ottobre 2009

Economia. Il recupero dei capitali custoditi all’estero.
Certezza. Secca e chiara risposta alle critiche degli oppositori: “Un provvedimento che non riguarda nè i soldi della mafia nè quelli della camorra. Questo è poco ma sicuro”.
Cinque per cento. È quanto sarà trattenuto dalle somme che verranno fatte rientrare in Italia, recentemente stimate dalla Guardia di finanza in circa 300 miliardi di euro.

CATANIA – “Emilia Romagna, Liguria, Piemonte, Toscana e Lazio, casualmente cinque regioni governate dal centrosinistra”.
Touché. Salvo Fleres, senatore in quota Pdl, un sassolino dalla scarpa se lo toglie volentieri. Perché i numeri recentemente diffusi sulla quantità di italiani che trascorrono le ore della giornata lontano dallo Stivale raccontano di provenienze da regioni per così dire… “rosse”, che, si sa, è il colore dell’opposizione alla sua Maggioranza. Così lui, che oltre a difendere la manovra Finanziaria ne è anche uno dei padri putativi, membro com’è della Commissione Bilancio al Senato, si prende la soddisfazione di girare lo specchio, di domandare, insomma: “Bene, e adesso?”.
Lo scudo fiscale, cioè la possibilità offerta a chi ha capitali all’estero di farli rientrare nel nostro Paese pagando allo Stato il 5 per cento degli stessi, che rappresenta una manovra tanto voluta quanto difesa dal Governo Berlusconi III, è uno dei simboli della lotta parlamentare. L’accusa maggiore, quella su cui si fonda il dibattito di questi ultimi tempi, riguarda la possibilità di far rientrare i capitali sporchi in Italia, lavandoli di quello che è considerato un “accettabile” cinque per cento e reintascandoli senza dichiararne “vita, morte e miracoli”.
“Con lo scudo fiscale non rientrano i soldi né della mafia, né della camorra. Questo è poco ma è sicuro”, dichiara con forza il senatore. Ma andiamo con ordine. Fleres precisa anzitutto che la sua firma sul tanto discusso emendamento è lì presente perché “renderlo efficiente era una scelta necessaria e ineluttabile. Per la semplice ragione, lapalissiana, secondo la quale ci si trovava davanti a un bivio. È stato scelto di far rientrare queste somme (circa 300 miliardi di euro, secondo le stime della Guardia di Finanza) permettendone così un corretto successivo uso nel sistema economico del Paese. Un Paese in cui l’economia non brilla…”.
Chiediamo, alla luce delle contestazioni, quali sono i vantaggi. “La scelta compiuta, peraltro la stessa già adottata con molto minor clamore nel 2001 e, più di recente, in Inghilterra, punta a far rientrare 300 miliardi di euro, versando allo Stato il 5 per cento, cioè 15 miliardi di euro, vale a dire il costo di una Finanziaria, cosa che non mi sembra poco”.
Un cinque per cento che fa gola alle casse di un Paese “dalla realtà complessa e difficile”, come sottolinea Fleres. Se poi i soldi vengono dalle tasche di chi abita le regioni solitamente indicate come “roccaforti della sinistra”, allora non resta nulla da dire. Anzi, una cosa c’è: “A trovare soluzioni ideali per Paesi irreali, normalmente, ci pensa non il Governo, ma l’opposizione, che poi, forse ma mica tanto forse, lo scudo fiscale, che ha fortemente e polemicamente contestato, lo utilizzerà e lo farà utilizzare come ‘legge della Repubblica’”.
Non sarà certo una panacea, sottolineiamo noi. “La nostra è una realtà complessa e difficile – risponde Fleres – e il dovere di un Governo o di un Parlamento è quello di trovare una soluzione, anche discutibile ma efficace, collocandola nella realtà vera e concreta di tutti i giorni”.
“Certo – continua – se ci fossimo trovati in una società ideale, con imprenditori in regola, un sistema bancario pronto a rischiare per sostenere le attività economiche, un fisco (originato da politiche di sinistra) particolarmente vessatorio, un sindacato dinamico, una burocrazia leggera, una giustizia equa e veloce, eccetera, forse il provvedimento sullo scudo fiscale non sarebbe stato necessario e lo Stato non avrebbe avuto la necessità di ricorrere a questo tipo di strumento”.
Così, svuotata la scarpa dai sassolini che l’hanno riempita in questi ultimi tempi, ci dà la metafora del suo scudo, a suo modo di vedere curvo come un amo da pesca: “Si, perché nella vicenda ‘scudo fiscale’ gli elementi della pesca ci sono tutti: l’esca, l’amo, la lenza, la canna e il pescatore. Dunque, verosimilmente, ci sarà il pesce, cioè le somme in atto all’estero, che difficilmente, senza lo scudo, sarebbero rientrate in Italia”.
“E io – conclude – non ho mai visto un pesce precipitarsi spontaneamente dentro una padella piena di olio bollente per farsi friggere…”.

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