Per cui, la bellezza, come la verità e la giustizia (i tre valori greci), ha una sua oggettività. Non assoluta, beninteso. Tutti, infatti, debbono avere dei punti di riferimento a valenza generale per capire chi osserva le regole e chi no. Molta gente non ha la capacità di guardare in lungo e in largo, per rendersi conto di come effettivamente vadano le vicende e prende decisioni anche di piccole dimensioni.
È bello ciò che piace. Un modo comodo di sentire e di interpretare le questioni che ci accadono. Questo modo non si riferisce solo ad oggetti di varia natura, ma anche a modi di fare e comportamenti. È questo può indurre in errore chi fa valutazioni sbagliate.
Il bello, secondo ognuno di noi, spesso è frutto del nostro stato d’animo. Un quadro, una scultura, un paesaggio marino o montano, bianco o verde, può apparirci bello, meno bello o brutto a seconda della combinazione dei nostri ormoni in un momento di una giornata. Per capire bene se è veramente così, dobbiamo fare riferimento alla nostra memoria e alle informazioni che abbiamo immagazinate in essa e che costituiscono punti di riferimento.
La degustazione del vino, per esempio, non è frutto di istinto (ce ne piace il gusto in modo estemporaneo), ma di un addestramento molto lungo, per memorizzarne le caratteristiche e le tipicità, in modo da riconoscerne le qualità ed essere in condizione di fare paragoni fra vini dello stesso tipo ma di annate diverse, o vini diversi.
La nostra memoria è un prodigioso serbatoio, quasi senza limiti. Quando pensiamo di avere esaurito la sua potenzialità, ci accorgiamo che ancora c’è spazio per immagazzinare altre informazioni. Se poi pensiamo che il nostro cervello viene utilizzato solo per un quinto della sua forza, dobbiamo dedurre che siamo molto pigri ed incapaci di conoscere quello che ci circonda, che proviene da siti lontani descritti in migliaia e migliaia di anni da tanti testimoni più o meno in buona fede.
Il valore della bellezza si accoppia con quello della verità e all’altro della giustizia, scrivevamo prima. Questa triade di valori proviene dal mondo greco, ma attinge ad un modo di pensare che risale ai tempi di Salomone il giusto (970 -930 a.C.) .
Si tratta del tentativo dell’umanità di stabilire regole, in modo da capire chi le osserva e chi le disprezza. In fondo, è la vecchia demarcazione tra bene e male, in base alla quale c’è chi sta al di qua del crinale e c’è chi sta dall’altra parte. Naturalmente, vi può essere nella nostra vita il passaggio da una parte all’altra motivato, ma spesso immotivato.
Sentiamo tante persone che non hanno le idee chiare e girano attorno a questi valori per giustificare comportamenti ad essi contrari, affermando appunto che secondo loro è bello ciò che piace.
Ma essi difendono il loro egoismo ed anche una sorta di prevaricazione del loro modo di pensare e di agire su quello degli altri. Quant’ è bella giovinezza, che si fugge tuttavia, chi vuol essere lieto sia, del diman non v’è certezza. Che cosa voleva dire con questa celebre frase Lorenzo deMedici (1449-1492)? Le interpretazioni sono state tante e noi non ci azzardiamo a provarci. Tuttavia, cogliamo l’invito a viver in modo lieve, seppur impegnati a realizzare degli obiettivi umani, sociali e professionali.
Vivere come se si dovesse campare mille anni pur sapendo che si può morire un minuto dopo. Entrare in amicizia con la Signora in nero, sapendo che incontrarla è ineluttabile. Dunque, bisogna pensare a quell’incontro con la consapevolezza che sarà bello il momento in cui il nostro spirito abbandonerà il corpo. Ecco, un altro modo ribaltato di intendere la fine terrena di un periodo temporale brevissimo, che si può paragonare ad un lampo fra due periodi bui.