C’è stata un’epoca neanche tanto lontana in cui i treni si chiamavano Espresso, Rapido, Locale. Nomi, oggi, rimasti solo negli annali e nella memoria degli appassionati di ferrovie. Ma quel tragico 20 luglio di vent’anni fa l’Espresso 1932, nonché “Freccia della Laguna”, esisteva ancora. Un treno a lunga percorrenza composto da vetture letti e cuccette al quale, come accadeva in quegli anni, venivano agganciati dei vagoni per consentire ai viaggiatori di spostarsi sulla sola tratta regionale tra Palermo e Messina.
Mancavano una manciata di minuti alle 19, la sera di quel tragico 20 luglio 2002. Saverio Nania, macchinista, 45 anni, di San Filippo del Mela, sposato e padre di due figli, aveva appena preso servizio a Milazzo poco prima. Con lui, in cabina, un collega più giovane, all’epoca 36 anni, Marcello Raneri. Il treno parte regolarmente da Milazzo alla volta di Messina, dove si sarebbe dovuto congiungere (come accade ancora oggi) con la sezione proveniente da Siracusa-Catania.
Ma la stazione di Messina Centrale, l’Espresso 1932, non la raggiungerà mai. Ironia della sorte, al momento dello svio, il treno stava imboccando la nuova linea. Solo otto mesi prima, infatti (era la fine di novembre del 2001) era entrata in funzione la nuova Galleria Peloritana, il lungo tunnel di quasi 13 chilometri che da Messina Scalo (il punto di diramazione tra la linea Sud, direzione Catania-Siracusa e quella Ovest, direzione Palermo) esce direttamente a Villafranca Tirrena, dopo avere abbandonato il vecchio e tortuoso percorso dei Colli antistanti Messina, sui Monti Peloritani.
Il deragliamento del treno alle 18:56
Alle 18.56, l’ecatombe. La velocità di marcia era abbondantemente entro i limiti: 105 chilometri orari a fronte di un massimo di 120. Eppure, il treno deraglia. Un boato pazzesco. I primi soccorritori che accorrono parlano di scene agghiaccianti, con vagoni sospesi nel vuoto e il locomotore accartocciato su se stesso. Il bilancio è di otto vittime, sette passeggeri e uno dei due macchinisti, Saverio Nania, appunto. Il quale, sopravvissuto qualche anno prima a un altro incidente ferroviario, che lo costrinse a rimanere lontano sei mesi da binari e locomotore, ripetutamente (almeno così si disse nell’immediato) aveva segnalato anomalie in quel punto della ferrovia. E siccome il destino è beffardo, Nania quel giorno non avrebbe dovuto trovarsi alla guida della “Freccia della Laguna”: andò a coprire il turno di un collega che, all’ultimo momento, aveva avuto un problema.
Il racconto della passeggera
Una passeggera salita a Milazzo, esattamente come Nania, raccontò di “immagini terrificanti, confusione; abbiamo preso in pieno una casa (rivelatasi poi essere la casa cantoniera, in quel momento fortunatamente vuota, dato che gli occupanti erano al mare, ndr); le valigie cadevano da tutte le parti; ho aiutato altri viaggiatori ad uscire dal finestrino”.
La causa dell’incidente
In un primo momento si pensò ad un errore umano. Le indagini condotte dalla Procura della Repubblica di Messina, invece, successivamente appurarono che, nonostante i recenti interventi di manutenzione, un giunto aveva ceduto. Per la vicenda finirono sotto processo tre responsabili dei lavori delle Ferrovie, oltre all’amministratore della ditta che curò i lavori stessi. Il primo grado si concluse nel 2011 con la condanna degli imputati ma con la dichiarazione di prescrizione relativamente al reato di omicidio colposo e lesioni colpose. Sentenza confermata, nel 2014, in appello, ma per solo due dei tecnici, assolvendo l’amministratore della ditta e il funzionario delle Ferrovie.
“Gli anniversari, solitamente, stanno ad indicare vicende positive. Quel 20 luglio 2002, invece, la mia vita e quella dei miei figli è cambiata irrimediabilmente”. Sono queste le parole che dieci anni fa, in occasione del decennale, ha pronunciato Cettina Crescenti, vedova di Saverio Nania. Un vuoto colmato solo dalla consapevolezza, acquisita nel tempo, che comunque “Saverio è sempre con noi”. Una convinzione viva anche nel figlio Antonio, allora 19enne, che si è trovato a crescere in fretta e ad abbandonare la spensieratezza dei 20 anni per diventare lui capofamiglia e pensare a mamma Cettina e alla sorella minore Laura. Ma con nel cuore un enorme desiderio, manifestato fin dai primi istanti: “Anche io voglio fare il ferroviere”. Una volontà accolta da Trenitalia: nel giugno del 2004, infatti, Antonio (nel frattempo 21enne) è stato assunto e ha effettuato un corso di formazione per diventare macchinista. Esattamente come papà Saverio.
Un ulivo a ricordare la tragedia
I rottami dell’Espresso 1932 sono rimasti accantonati in un angolo nei pressi della stazione di Rometta fino al 2016. Anno in cui sono stati rimossi ed è stato piantato un ulivo e apposta una targa con i nomi delle otto vittime. Per non dimenticare quel 20 luglio 2002, ore 18.56. Perché, come recita un detto cinese, “perdere il passato” sarebbe un po’ come “perdere il futuro”.
Valerio Barghini

