Fabrizio Micari: "Università al servizio della città di Palermo" - QdS

Fabrizio Micari: “Università al servizio della città di Palermo”

Francesco Sanfilippo

Fabrizio Micari: “Università al servizio della città di Palermo”

martedì 15 Marzo 2016

Forum con Fabrizio Micari, rettore dell’Università di Palermo

Quanto incide l’Università nel contesto sociale ed economico della città di Palermo?
“L’Università di Palermo conta 50 mila persone tra studenti, professori e amministrativi su 600 mila abitanti, senza tenere conto dell’indotto tra imprese fornitrici, negozianti, eccetera. Gli studenti sono 43 mila e questo ci rende uno dei più grossi Atenei italiani, paragonabili a Roma o Napoli. Perciò, la definizione di città universitaria è corretta, anche se non la si considera mai in questi termini. L’Università ricopre un’importanza centrale per Palermo all’interno del ‘progetto città’ da un punto di vista economico, sociale e della ricerca. Inoltre, la qualità formativa offerta non ha niente da invidiare a quella di altri Atenei”.
È vero che negli anni passati le immatricolazioni hanno subito una flessione?
“L’Università ha avuto diminuzione degli iscritti dovuta negli anni recenti a politiche volte a ridurre il numero dei fuoricorso che erano arrivati al 50% di tutti gli studenti. Ora, la percentuale non supera il 30% che è considerata una soglia fisiologica, paragonabile a tutte le altre Università. La diminuzione è avvenuta grazie all’uso di corsi di recupero nei confronti delle materie più ostiche che hanno favorito l’eliminazione di quest’aspetto. Adesso, si cerca di prevenire il ripetersi del fenomeno attraverso il tutorato secondo i modelli anglosassoni, risorse permettendo”.
La migrazione intellettuale costituisce un problema rilevante per la città?
“Questo è un fenomeno drammatico e si può intervenire sugli studenti che terminano la triennale e continuano con la biennale, ma dal punto di vista dell’inserimento lavorativo si può fare ben poco. Occorre una crescita di tutto il sistema, di cui l’Università fa parte, ma non è l’unico attore. L’Ateneo può proporre piani di sviluppo strategici, ma non può condurlo da solo. In questa terra c’è un problema di lavoro qualificato, per cui i laureati cercano questo tipo di lavoro fuori dall’Isola. Non a caso, molti studenti proseguono gli studi della biennale fuori, preferendo partire prima del completamento dei 5 anni, perché ritengono, non a torto, che questa soluzione dia più possibilità di lavoro qualificato. È un problema che riguarda tutti gli attori, per cui si sta cercando di stabilire un collegamento con le realtà produttive del territorio, puntando contemporaneamente sull’internazionalizzazione. In realtà, tutto il sistema deve decidere su quali strategie di sviluppo puntare e poi l’Università potrà aiutare questo processo con la formazione, per cui solo allora potremo invertire quest’andamento. Quest’anno, l’Ateneo sta facendo partire alcuni corsi inediti, come quelli di tecnologie agroalimentari, di gestione e valorizzazione dei Beni culturali, del turismo e di consulente giuridico d’impresa. In quest’ultimo caso, le aziende sentono la necessità di una figura che possa fornire servizi e consulenze giuridiche. Il ragazzo deciderà quale percorso intraprendere, ma deve avere un ventaglio di scelte. Mi impegnerò per avere un’Università più rivolta alle necessità del territorio e alla sua crescita, collaborando con altri enti com’è successo con il comune di Palermo con il Patto per lo Sviluppo”.
La qualità dell’offerta formativa è un parametro indispensabile per la crescita dell’Ateneo?
“Le Università sono valutate sia sul fronte della ricerca sia su quello della didattica che dipende dal numero di studenti in corso. Occorre riequilibrare i rapporti tra le lauree triennali e quelle magistrali, poiché vi è uno sbilanciamento verso queste ultime, cosa non più sostenibile”.
 
Come vede il decentramento dell’Università verso le altre province?
“Alcuni risultati sono stati buoni come a Caltanissetta, altri meno, ma non si può agire da soli. Occorre dialogare con le realtà produttive e in collaborazione con la Regione. I Consorzi non possono reggersi senza la stessa Regione che li sostiene”.
Come sono impiegate le risorse del vostro Ateneo?
“C’è stato un calo delle risorse assegnate, ma c’è stata una riduzione ancor più forte nel numero dei docenti. Nonostante l’assenza di difficoltà finanziarie, l’85% delle risorse va via per il costo del personale, mentre le spese di funzionamento e di manutenzione dell’immenso patrimonio immobiliare si aggirano sul 10%. Eppure, sono state trovate le risorse per il bando dei dottorati di ricerca e per le manutenzioni straordinarie grazie ad un 2%-3% di disponibilità. Le risorse economiche vengono dallo Stato e dalle iscrizioni, mentre il livello di tassazione è uno dei più bassi per favorire gli studi dei ragazzi”.
Cos’è il progetto Policlinico 2020?
“Un ospedale universitario deve fare formazione ed offrire assistenza di eccellenza legata alla ricerca, ma oggi non è così in tutte le aree. Dobbiamo chiederci se continuare in questo modo, oppure se fare un progetto, partendo dalle eccellenze e da collaborazioni che si possono avere con altre realtà ospedaliere. Penso si debba agire su quest’ultimo campo”.

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