Ravvedimento operoso, come calcolare gli interessi legali e le sanzioni da pagare - QdS

Ravvedimento operoso, come calcolare gli interessi legali e le sanzioni da pagare

Salvatore Forastieri

Ravvedimento operoso, come calcolare gli interessi legali e le sanzioni da pagare

martedì 12 Aprile 2016

È lo strumento, risalente al 1997, con cui il contribuente può regolarizzare spontaneamente le violazioni in ambito tributario. La riduzione può variare da un ottavo a un sesto a secondo dei tempi della regolarizzazione

PALERMO – Il ravvedimento operoso è lo strumento con cui il contribuente può regolarizzare spontaneamente le violazioni in ambito tributario, pagando, contemporaneamente all’imposta, anche le sanzioni in misura ridotta e gli interessi.
L’istituto risale al 1997, quando è stata varata la riforma del sistema sanzionatorio tributario non penale con l’emanazione del Decreto Legislativo  18 dicembre 1997 n. 472 e, più precisamente, è stato inserito nel nostro ordinamento con l’articolo 13 del citato decreto.
Così, adempiendo all’obbligo fiscale (anche di natura formale) e versando quanto non pagato alle prescritte scadenze, il contribuente che ha commesso la violazione, compresa quella di omissione dei versamenti previsti da tutta la normativa fiscale, può “ravvedersi”, adempiendo, seppure tardivamente, all’obbligo fiscale, pagando, oltre al tributo, le sanzioni in misura ridotta in relazione al periodo del ritardo nonchè gli interessi, al saggio legale, calcolati a giorni (attualmente 0,2%).
La sanzione ridotta e gli interessi  devono essere pagati “contemporaneamente” al tributo, diversamente la regolarizzazione non si considera efficace ai fini della riduzione della penalità, per cui l’Erario avrebbe il diritto di recuperare anche la parte della sanzione amministrativa prevista dalla legge e non versata.
Sul concetto della “contemporaneità” l’Agenzia delle Entrate si è espressa facendo sapere che è sufficiente che il tributo, la sanzione ridotta e gli interessi vengano pagati tutti entro il termine previsto per la regolarizzazione, ma anche separatamente ed in giorni diversi.
Unica causa ostativa all’applicazione del “ravvedimento operoso” è la notifica dell’avviso di accertamento, di rettifica o di liquidazione, ovvero la ricezione delle comunicazioni ai sensi degli artt. 36 bis e 36 ter del D.P.R. 600/73 e 54 bis del D.P.R. 633/72.
Come è facile capire, si tratta di un istituto molto importante ai fini della definizione di questioni sulle quali c’è poco da discutere, un istituto il quale, quanto meno nell’intenzione del legislatore, dovrebbe servire a stimolare l’adempimento fiscale tardivo, attraverso uno sconto consistente delle penalità.
Non c’è dubbio che tale obiettivo è stato raggiunto.
Evidentemente non vi ricorrono gli evasori, ossia quelli che non vogliono pagare e che, pertanto, non sono intenzionati a regolarizzare alcunchè. Se ne avvalgono frequentemente, invece, i contribuenti che non hanno potuto pagare oppure sono incorsi in qualche errore interpretativo o in qualche altro errore concernente la determinazione del tributo da versare, al fine di limitare il danno conseguente alle forti penalità previste dalla legge.
Eppure, le potenzialità del ravvedimento operoso non sono ancora adeguatamente sfruttate.
Come avviene molto frequentemente nel campo tributario, infatti, la convulsa produzione normativa, nella maggior parte dei casi poco ponderata e quasi sempre legata a situazioni del momento, è il grosso nemico della semplificazione e della certezza del diritto, per cui le difficoltà di individuazione delle singole fattispecie sanzionatorie e delle relative specifiche riduzioni delle sanzioni, nonchè il calcolo degli interessi legali in base ai giorni, rappresentano altri ostacoli (oltre a quello previsto dalla legge e precedentemente citato) ai fini della concreta fruibilità da parte dei contribuenti di questo importante istituto.
Giova ricordare, per esempio, la fattispecie più ricorrente di ravvedimento operoso, ossia il caso del mancato pagamento regolarizzato entro 30 giorni dalla scadenza.
In tal caso, in base a quanto previsto dall’articolo 13 del citato Decreto Legislativo 472/1997 e dall’art.15 del Decreto legislativo 158/2015, la sanzione minima edittale pari al 30% (prevista dall’articolo 13 del Decreto Legislativo 471/1997 per il mancato versamento) subisce prima una riduzione alla metà (prevista per tutti i versamenti tardivi entro 90 giorni), poi una ulteriore riduzione ad un quindicesimo, per ciascun giorno di ritardo, quando il pagamento viene eseguito entro 15 giorni dalla data prevista, ed infine la riduzione ad un decimo prevista per il “ravvedimento operoso”.
Il calcolo, difficilissimo, porta all’applicazione dello 0,1% giornaliero (“ravvedimento sprint”) per un ritardo  fino a quattordici giorni (sanzione massima 1,4%). Dal quindicesimo fino al trentesimo giorno dalla scadenza, si applica la sanzione pari all’1,50% (30% ridotto a metà, ossia 15%, ridotto ulteriormente ad un decimo).
Poi, fino al novantesimo giorno (“ravvedimento intermedio”), la sanzione diventa pari all’1,67%, applicando alla sanzione base del 30% la riduzione a metà (15%) e poi quella ulteriore pari ad un nono.
Una riduzione, quella del “ravvedimento operoso”, che può diventare poi un ottavo, un settimo o un sesto a secondo se la regolarizzazione avviene prima o dopo la scadenza della dichiarazione dello stesso anno o di quella relativa all’anno successivo.
Non dimentichiamo gli interessi. Questi (tasso legale 0,2%) devono essere pagati “contemporaneamente” al tributo ed alla sanzione, previo calcolo “a giorni”, ossia applicando una formula che solo gli addetti a lavori possono conoscere:
Capitale x percentuale x giorni/36.500.
Quanti contribuenti sono in grado di calcolare la riduzione della sanzione? Quanti sono in grado di calcolare gli interessi? Sicuramente pochissimi. E sappiamo che se l’importo versato per il ravvedimento non è corretto, la definizione si considera non avvenuta, con l’applicazione della sanzione “piena”.
Molti, poi, vengono a conoscenza dello “sconto” di cui avrebbero avuto la possibilità di beneficiare solo quando il ristretto termine di quindici giorni è passato.
Ciò vuol dire che la farraginosità dell’attuale sistema tributario non favorisce la definizione spontanea delle controversie, a meno che non ci si affidi ad esperti del settore che seguono passo passo ogni problema fiscale dei loro clienti.
Se il sistema per ravvedersi fosse, invece, veramente semplice, sarebbero sicuramente molti di più i contribuenti che se ne avvarrebbero.
Per il caso di mancato pagamento, regolarizzato entro un anno, per esempio, basterebbe applicare la sanzione base in modo proporzionale al periodo del ritardo. Potrebbe essere poi concessa una ulteriore riduzione ad un decimo quando la violazione viene sanata entro 30 giorni dalla scadenza (riduzione che, così come attualmente previsto dal “ravvedimento operoso”, rappresenta il fattore premiale riconosciuto per la spontaneità della regolarizzazione in un periodo abbastanza contenuto).
Gli interessi per il ritardo fino a 30 giorni potrebbero essere abbandonati mentre, per le regolarizzazioni con riardo superiore potrebbero essere applicati non a giorni, come è attualmente, ma a semestre o frazione.
In questo modo, con un versamento previsto di € 10.000, pagato con un ritardo di 30 giorni, il costo del “ravvedimento operoso” sarebbe pari a 24 Euro (sanzione base 30% = 3.000 : 365 giorni = 8,22 x 30 gg. ritardo = 246;  riduzione ad 1/10 = 24,7).
Per la stessa violazione, regolarizzata però con un ritardo di sei mesi (180 giorni), la sanzione proporzionata al numero dei giorni di ritardo, da pagare ai fini della definizione, sarebbe pari ad Euro 1.479,60. Tale somma, però,  stante quanto attualmente previsto in caso di regolarizzazione entro il termine di scadenza della dichiarazione annuale dell’anno nel corso del quale la violazione è stata commessa, potrebbe essere ridotta ad un ottavo e, quindi, ad Euro 184,95.
Gli interessi sarebbero pari allo 0,1% (la metà del tasso legale pari allo 0,2%), e quindi pari a 3 euro, per la frazione di semestre già decorsa.
Costo complessivo della regolarizzazione, oltre al pagamento del tributo, Euro 187,95 (184,95 + 3).
Lo stesso sistema potrebbe essere applicato anche per le violazioni diverse da quelle per omesso versamento, sanate entro un anno, applicando cioè la sanzione minima base in modo proporzionale ai giorni di ritardo.
Lo stesso criterio, poi, potrebbe essere adottato anche nel caso di regolarizzazioni che avvengono dopo un anno dalla scadenza ordinaria o dopo il termine di scadenza della dichiarazione annuale, graduando la riduzione “premiale” in modo sempre adeguato in relazione alla durata del ritardo dell’avvenuto, ma comunque spontaneo, adempimento.
Si tratterebbe, in ogni caso, di un calcolo abbastanza semplice e, pertanto, alla portata di tutti, che faciliterebbe moltissimo l’adesione spontanea e favorirebbe la riduzione del contenzioso.

Salvatore Forastieri
Garante del Contribuente per la Sicilia

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