Una petizione per "rivedere" il peso delle accise sulla benzina - QdS

Una petizione per “rivedere” il peso delle accise sulla benzina

Michele Giuliano

Una petizione per “rivedere” il peso delle accise sulla benzina

sabato 07 Maggio 2016

Iniziativa dell’associazione Altroconsumo: le tasse incidono per oltre il 50% sul prezzo del carburante. Sono 16: si va da quelle per la guerra di Etiopia a quelle per il sisma in Abruzzo

PALERMO – Più del 50 per cento del prezzo che gli automobilisti italiani pagano per la benzina è costituito da tasse: le ormai famose accise, alcune delle quali risalgono alla guerra d’Etiopia del 1935. Al di là degli anacronismi, le accise sulla benzina sono in totale 16. Un po’ troppe anche perché, essendo legate al finanziamento di eventi naturali o storici, dovrebbero essere abolite nel momento in cui l’emergenza finisce. Ecco perchè adesso ci si mobilita e lo sta facendo in questi giorni Altroconsumo che ha lanciato una petizione per richiedere l’abolizione delle accise sui carburanti. Ad oggi la petizione ha superato abbondantemente le 3 mila firme ma bisognerà raggiungere quota 10 mila affinché si raggiunga l’obiettivo di presentarla al governo nazionale per verificarne l’istanza.
L’associazione dei consumatori ha anche pubblicato la lunghissima lista delle accise aggiornata rispetto a quella che oggi viene fornita sul sito del ministero dell’Economia e delle finanze. Ecco il dettaglio: 1,90 lire per il finanziamento della guerra di Etiopia del 1935; 14 lire per il finanziamento della crisi di Suez del 1956; 10 lire per il finanziamento del disastro del Vajont del 1963; 10 lire per il finanziamento dell’alluvione di Firenze del 1966; 10 lire per il finanziamento del terremoto del Belice del 1968; 99 lire per il finanziamento del terremoto del Friuli del 1976; 75 lire per il finanziamento del terremoto dell’Irpinia del 1980; 205 lire per il finanziamento della guerra del Libano del 1983; 22 lire per il finanziamento della missione Unmibh in Bosnia Erzegovina del 1996; 0,02 euro per il rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri del 2004; 0,005 euro per l’acquisto di autobus ecologici nel 2005; 0,0071 a 0,0055 euro per il finanziamento alla cultura nel 2011; 0,0073 euro in attuazione del decreto legislativo numero 34/2011 per il finanziamento della manutenzione e la conservazione dei beni culturali, di enti ed istituzioni culturali; 0,040 euro per far fronte all’emergenza immigrati dovuta alla crisi libica del 2011, ai sensi della legge numero 225/1992; 0,02 euro per il terremoto dell’Emilia del maggio 2012; infine altre 0,0042 euro per il sisma d’Abruzzo del 2009 introdotti nel 2012.
Tutto questo è maturato in un contesto in cui l’uso delle accise è passato da risorsa usata per le emergenze a gettito usato per garantire l’equilibrio dei conti pubblici. Non è una scoperta sicuramente questa. In Europa l’escalation inarrestabile di accise e Iva ha portato l’Italia a collocarsi al secondo posto per accise, al primo posto per prezzo alla pompa sulla benzina (11,5 per cento oltre la media europea), al secondo posto per carico fiscale complessivo, ovvero il 17 per cento oltre la media europea.
Ma non è diverso l’andamento del carico fiscale sul gasolio. Dal 2005 e, soprattutto, dall’affiorare dei primi segnali della crisi economica (2007), si è venuta a creare una forbice crescente fra andamento delle imposte e andamento dei consumi petroliferi: alla crescita delle prime corrispondeva una flessione dei secondi”.
In sostanza, la combinazione fra un reddito disponibile cedente (per effetto della crisi) e ripetuti aumenti di accise e Iva si è ripercossa pesantemente sui consumi, determinando una significativa “evaporazione” della base imponibile. Conseguentemente, gli aumenti delle aliquote non sono stati in grado di garantire una crescita del gettito e, anzi, hanno contribuito in maniera determinante alla sua flessione.

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