La colpa dello stesso è che non solo non affianca l’azione del governo Berlusconi, ma per tanti aspetti la critica. Che si tratti di furbata è evidente perché nessuno meglio di Sergio Marchionne, amministratore delegato della multinazionale torinese, conosce i dati della propria azienda e nessun altro può decidere dove deve produrre per avere la massima efficacia. Fra l’altro, i tempi per le case automobilistiche sono molto difficili e nessuna di esse si può permettere di elargire beneficienza.
Da anni ribadiamo il concetto che, se la Fiat ha deciso di spostare la sua produzione a Kragujevac, in Serbia, è perché ci sono condizioni più favorevoli che a Termini. E se ora ha deciso di spostare la produzione della Ypsilon in Polonia è per la stessa ragione. Come può chiedere un ministro della Repubblica ad un’impresa di tenere in vita uno stabilimento, il cui prodotto costa un terzo in più che altrove? è pura demagogia.
Il ministro per lo Sviluppo economico deve attivare strategie per guardare avanti di cinque o dieci anni ed investire nel futuro. è del tutto pacifico che lo stabilimento Fiat di Termini Imerese è morto e sepolto e, per la sua piccola dimensione, non ha alcun futuro. Il ministro dovrebbe individuare nell’industria turistica il futuro della Sicilia e concordare col governo regionale un piano per la sua trasformazione in un’attività con un forte potenziale di sviluppo.
La forza della Sicilia è la sua posizione geografica al centro del Mare nostrum. Si tratta di preparare un progetto di massima, inserirlo nella rete bancaria di tutto il mondo e portarlo nelle sedi economiche che contano in modo da stimolare i gruppi internazionali a venire qui.
Insistere sulla Fiat contro la volontà della stessa è frutto di cecità strategica. L’alibi di dover proteggere i 1.370 posti di lavoro è ormai sgonfiato perché, per la chiusura dello stabilimento, lo Stato potrebbe applicare la “legge Alitalia”, salvaguardando quindi il tenore di vita di tutti quei dipendenti.
In più, il nuovo piano di investimenti potrebbe portare alla creazione di 5.000 posti di lavoro, solidi e duraturi nel tempo, naturalmente convertendo le competenze di chi volesse o mettendo a disposizione queste opportunità di altri siciliani e non.
Non solo la Sicilia deve dar sfogo alla richiesta di lavoro degli indigeni, ma potrebbe diventare un territorio di attrazione del lavoro esterno. è il caso per esempio del costruendo Ponte sullo Stretto per il quale arriveranno tantissimi operatori di diversi livelli produttivi.
C’è poi un altro versante sul quale la Regione e il ministro potrebbero investire. Riguarda la messa a reddito di circa 4000 km quadrati di terreno incolto. Come? Con la coltura di prodotti vegetali necessari alla produzione di biocarburante. Naturalmente in questa iniziativa dovrebbero essere coinvolte le industrie pesanti e altamente inquinanti del Triangolo della morte le quali, con le buone o le cattive, dovrebbero esser indotte a trasformare una parte della filiera produttiva in modo di utilizzare prodotti vegetali e non fossili, come il raffinato.
Di queste iniziative si dovrebbero occupare il governo regionale e il ministro invece di blaterare e dire stupidaggini. Attendiamo con realismo la svolta di una linea di politica economica bloccata da risse ridicole nelle quali prevale l’interesse di tanti piccoli uomini che tentano di prevaricare quello generale.