Di che si tratta? Di una sentenza dell’Alta Corte britannica, la quale, a seguito del ricorso di un gruppo di attivisti pro Ue, ha comunicato la verità nascosta: il referendum ha valore consultivo e non produce alcun effetto legale. Perché questo vi sia, è necessario che si esprima il Parlamento, sia la Camera dei deputati che quella dei Lord. Non si sa bene sul piano procedurale se le Camere debbano approvare una mozione o, addirittura, una legge.
Tutto ciò accade perché nel Regno Unito non vi è un’apposita legge sul referendum e, quindi, tutto procede secondo usi e consuetudini.
In contemporanea, Teresa May ha presentato ricorso contro la sentenza dell’Alta Corte al grado superiore, cioè alla Corte di Giustizia Suprema, per tentare di ribaltare la sentenza di primo grado.
Intanto, l’Alta Corte si è espressa con chiarezza, dicendo che il governo di Teresa May non ha il potere di sottrarre ai cittadini britannici i diritti acquisiti con lo European Communities act del 1972, la legge sull’adesione alla Comunità europea. Dunque, con una legge l’Uk è entrato in Europa e solo con una legge ne può uscire.
Ma vi è di più: non si ancora quale sia l’azione che intenda promuovere la sovrana, la novantenne Elisabetta II, che avrebbe una sorta di potere di veto sulla materia. Come si vede, la situazione è lungi dall’essere chiarita.
All’interno del Parlamento britannico la maggioranza è portata dal Partito Conservatore: il Tory. Ma esso non è compatto, perché una parte importante è europeista, con la conseguenza di rendere ancora più ingarbugliata la vicenda.
Riepilogando, la Brexit non è ancora tale, sia per una questione legale che per un’altra politica. Per quest’ultima parte non è detto che in Parlamento vi sia una maggioranza disposta a votare una legge (o una mozione) che autorizzi il Governo ad azionare l’articolo 50 del Trattato europeo.
Da quanto precede, si capisce l’atteggiamento del Consiglio dei capi di Stato e di Governo e della Commissione europea, che non hanno fatto granché per avviare, seppur in modo informale, la trattativa per la separazione.
Cosicché se il Parlamento britannico non dovesse approvare la legge (o la mozione) e se il Governo perdesse l’appello dinnanzi alla Corte Suprema, la situazione tornerà a zero come nel gioco dell’oca.
Se avverrà l’opposto, cioè sentenza favorevole e legge approvata, Teresa May potrà dar sfogo alla sua antipatia contro l’Unione europea ed avviare, in via definitiva, la trattativa per l’uscita.
Vi è pure l’ipotesi che non andando in questa direzione, la Regina decida il voto anticipato, il che equivarrebbe a una sorta di secondo referendum. Se, infatti, vincessero di nuovo di eurofobici, il primo referendum consultivo sarebbe confermato, perché in Parlamento vi sarebbe la maggioranza per approvarne la relativa legge. In caso contrario, i britannici hanno scherzato.
Ma questa non è materia di cabaret: ci vuole serietà. Attendiamo di appurarla.
