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Aiutati che Dio ti aiuta non dimenticarlo mai

Sentiamo continue lamentazioni da parte di tanta gente che spera nella Provvidenza, la quale dovrebbe occuparsi delle vicende di ciascuno di noi, fornendoci tutto ciò di cui abbiamo bisogno.
Non è così. Gennarino chiedeva a San Gennaro, di cui era devoto, di farlo vincere al Totocalcio. Ogni settimana, non vincendo, protestava con il suo Santo protettore, elencando le disgrazie di cui era afflitto: povertà, malattie e disagi diversi. Dopo sei o sette settimane, San Gennaro fece sentire la sua voce: “Gennarino, ma te la vuoi giocare la schedina?”.
Quello descritto è un comportamnto mentale molto diffuso, soprattutto nel Meridione, ove chi è prigioniero di questo modo di essere, consistente nell’aspettare che qualcuno risolva i propri problemi, dimentica invece che è un preciso dovere di ognuno di noi attivarsi, per far sì che le cose funzionino e per ottenere quanto ci bisogna.
Insomma, ognuno di noi deve pensare la notte cosa deve fare il giorno dopo, e poi farlo. Essere attivi, propulsivi e propositivi è un modo di vivere correttamente la vita.

Aiutati che Dio ti aiuta: è un vecchio modo di dire, dimenticato da tutti coloro che vivono la vita da parassiti e inattivi. Questo termine, inattivi, è usato ai nostri giorni da coloro che non hanno lavoro, ma non si iscrivono nelle liste dei richiedenti, non si sa bene per quale ragione.
Ovviamente, non ci riferiamo ai clochards perché essi sono talmente abituati a vivere sui marciapiedi, che non hanno interesse a svolgere alcun lavoro.
Fra gli inattivi vi sono tante persone che non possono iscriversi agli elenchi perché non sono inseriti nelle Anagrafi. Ci riferiamo ai clandestini o a tanti altri che vivono abusivamente nel nostro Paese, con la conseguenza che, non osservando le regole della convivenza, si possono definire cani sciolti.
Vi è anche un versetto del Vangelo (Matteo 7,7-12): “Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto”. Anche in questo caso viene stimolata l’iniziativa di ogni persona che non deve mai restare inerte di fronte alla vicenda della vita ed avere capacità di reazione di fronte alle avversità che arrivano regolarmente e puntualmente.
 

Ognuno coltiva il proprio orticello, senza curarsi degli altri e sostiene il Nimby (Not in my back yard, lett. non nel mio cortile). Accada quel che accada all’esterno purché mai a casa propria. Una sorta di menefreghismo, di inciviltà, conseguente all’incultura e all’ignoranza dilagante.
Nessuno può star bene a casa propria se l’intera Comunità non sta bene, perché inevitabilmente, appena si esce fuori dalla propria porta, ci si immerge in un sistema di libertà incrociate: la libertà di tutti che non deve ledere quella individuale, ma per converso, quella individuale non deve intaccare la libertà collettiva.
Questi sono principi di civiltà che dovrebbero essere inculcati nei ragazzini da sei anni in su (meglio se andassero a scuola a 5 anni). E continuamente confermati fino all’uscita a 19 anni (meglio a 18 anni).
Ai giovani insegnanti colti e capaci dovrebbero anche inculcare il principio di non perdere tempo appena usciti dalla maturità, per fare esperienze lavorative di ogni genere e tipo, in modo da acquisire un bagaglio di conoscenze molto importanti che servono per tutta la vita.

I giovani che scelgono l’Università commettono normalmente due errori: il primo è quello di non collegare il corso di studi con il Mercato, per cui una volta laureati non hanno ancora capito che cosa possano fare. Il secondo la non valutazione del fattore tempo: quindi completare la triennale a 22 anni e la magistrale a 24; oggi, invece, i giovani si laureano mediamente a 27 anni e 8 mesi, perdendo così 4 anni nel corso dei quali avrebbero potuto fare esperienze lavorative che non recupereranno più, perché il perduto è perduto.
Non è il tempo che passa, siamo noi che passiamo, un modo di pensare che ci fa capire come il tempo sia una convenzione indispensabile per contare quello che accade nell’ambito di un sistema universale.
Proprio perché il tempo è essenziale e perché noi passiamo non bisogna perderlo: essere attivi, propulsivi, cercare sempre soluzioni ai problemi e disponibili ai sacrifici per capire meglio cos’è la vita e come essa a un certo punto si trasformi attraverso la porta della sua cessazione e l’ingresso nel mondo dell’energia (o dello spirito).