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Censis, cresce il digitale. Ci si informa sui social

Valeria Arena

Censis, cresce il digitale. Ci si informa sui social

sabato 03 Dicembre 2016

Facebook è diventata la seconda fonte di informazione dopo i telegiornali

ROMA – Processi informativi sempre più dipendenti dalle nuove tecnologie e dalle piattaforme sociali digitali. Questa è la fotografia scattata dal Censis nel suo Rapporto sullo stato sociale del 2016. In cinque anni, infatti, si è ridotta drasticamente la percentuale di italiani che dichirara di essersi informata tramite telegiornali, la quale è passata dall’80,9% del 2011 al 63% del 2016, con una perdita di ben 17,9 punti percentuali. Stessa dinamica per i giovani di età compresa tra i 14 e 29 anni, che già cinque anni fa seguivano i tg in percentuale minore: il 69,2% del 2011 è adesso sceso al 45,7%.
 
Diplomati e laureati, da sempre i più affezionati spettatori di telegiornali, di punti percentuali, invece, ne hanno persi addirittura 27,3, passando dall’85,7% al 58,4%. Chi ci guadagna, quindi, sono le piattaforme sociali digitali. Tra le prime fonti utilizzate per informarsi, dopo il 63% dei telegiornali, si colloca infatti Facebook con il 35,5%, seguito da giornali radio (24,7%.) e quotidiani, che non superano il 18,8%. Il 19,4% sceglie invece i motori di ricerca come Google, il 10,8% Youtube e il 2,9% Twitter.
I quotidiani cartacei perdono lettori, ridotti al 40,5% degli italiani (-1,4% nell’ultimo anno, -26,5% complessivamente nel periodo 2007-2016), mentre continua ad aumentare l’utenza dei quotidiani online (+1,9% nell’ultimo anno) e degli altri siti web di informazione (+1,3%). In linea, la penetrazione di internet aumenta di 2,8 punti e l’utenza della rete tocca un nuovo record, attestandosi al 73,7% degli italiani (e al 95,9%, cioè praticamente la totalità, dei giovani under 30). La crescita complessiva dell’utenza del web nel periodo 2007-2016 è stata pari a +28,4%.
La questione diventa preoccupante se consideriamo che, accanto all’incremento di utenti che decidono di informarsi attraverso le piattaforme sociali digitali, la capacità degli editori di conoscere lo strumento rimane essenzialmente elementare. Secondo recenti studi (The Facebook-Media relationship: It’s complicated di News International media association, Private sector media and digital news e Digital news report 2016 di Reuters istitute for the study of journalism, Facebook top newspapers 2016 di Innova et Bella) relativi all’utilizzo di Facebook da parte delle redazioni giornalistche, l’Italia è il paese con minor incidenza di accesso diretto ai siti web dei newbrand e di riflesso quello con il maggior incidenza di search social come punto di partenza del processo informativo.
 
A ciò si aggiunge una gestione della piattaforma digitale focalizzata alla ricerca spietata di “mi piace” e al commento di supporto alla notizia condivisa votato al sensazionalismo. Come conseguenza Facebook, per i nostri editori, si trasforma una piattaforma di distrubuzione che accatasta link molto spesso non cliccati dagli utenti; il processo informativo, quindi, oltre a essere saturo di notizie condivise senza nessun criterio, se non quello di accrescere i like, si ferma alla lettura superficiale dei titoli postati e dei commenti lasciati a supporto dalle redazioni. È evidente che la ristruttuazione digitale delle dinamiche informative, sempre più dipendenti dal web e dai social, necessita di processi educativi, e di specializzazione, che partano dagli editori fino ad arrivare agli utenti stessi, altrimenti “quell’abuso di credulità popolare” di cui tanto si discute adesso in politica è destinato a diventare una costante della nostra informazione. I nuemri d’altra parte parlano chiaro.

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