È sentimento popolare che la colpa di tutto ciò sia della burocrazia, cioè di una Pubblica amministrazione inefficiente, autoreferenziale, non controllata e incapace di servire i cittadini. Tutto questo è vero. Ma ci si dimentica di scoprire la seconda parte del problema e cioè che la maggiore responsabilità di questo stato di cose è della Classe politica che, occupando posti di responsabilità nelle istituzioni dei tre livelli (nazionale, regionale e comunale), non mette in atto direttive e procedimenti affinché la Pa funzioni alla stessa maniera delle Pubbliche amministrazioni della Svezia, della Norvegia o della Francia.
Delle due l’una: o i politici sono ignoranti e incapaci, oppure sono conniventi con la Pa.
I diversi governi (Monti, Letta e Renzi) hanno tentato di ridurre quella bestia carnivora che mangia e non rende, nominando diversi commissari alla revisione della spesa, quello che i giornali hanno chiamato spending review. Ma quella bestia carnivora è riuscita a divorare anche tali commissari, che via via sono stati cacciati o si sono dimessi. Ricordiamo, tra gli altri, Bondi, Canzio, Cottarelli e da ultimo Gutgeld.
Sembra che la spesa corrente sia insopprimibile: è così perché coloro che la utilizzano sono i privilegiati che violano la regola etica secondo la quale ognuno dovrebbe rendere più di quanto prende. I servizi pubblici, ben riorganizzati sotto l’insegna dei valori di merito e responsabilità, costerebbero un terzo in meno e renderebbero un terzo in più. Ma per far questo ci vogliono professionisti, non burocrati.
Si continua a spingere sui cosiddetti posti di lavoro. Chi li crea i posti di lavoro? Ovviamente il settore privato perché quello pubblico è stragonfio di personale che ha raggiunto il limite incredibile di oltre 4,2 milioni di persone (3,2 milioni di dipendenti diretti e un milione di dipendenti delle partecipate pubbliche). Un corpo non organizzato ma soprattutto non controllato che fa quello che vuole e che non raffronta mai i risultati al loro costo.
A monte di questa analisi, peraltro ripetuta svariate volte, va ricordato che la Pa non ha un vero datore di lavoro, cioé colui che tiene i conti e che deve conseguire un risultato. Operazione che dovrebbero fare dirigenti e politici che li governano. Ma nessuno fa questo.
Dal quadro che precede si capisce la causa di tutto ciò che non è stato fatto, dal che derivano i CNF, cioè i Costi del Non Fare, che pian piano l’opinione pubblica comincia a percepire.
In Sicilia, per esempio, il fare poteva essere: il Ponte sullo Stretto (8 miliardi); la Tav light ME-CT-PA (5 miliardi); la Nord-Sud e la chiusura dell’anello autostradale (3 miliardi); la ristrutturazione delle Reti idriche dai bacini alle porte delle città (3 miliardi); gli impianti di depurazione (un miliardo); la costruzione di otto impianti per la produzione di energia a base di RSU (3 miliardi); la filiera del legno dalle piante alla cellulosa, fino al tavolame e simili prodotti (2 miliardi); la riparazione dei 400 siti ad alto rischio idrogeologico (5 miliardi), la ricostruzione degli 829 borghi (5 miliardi), e via enumerando. Saremo più precisi nelle inchieste da oggi in uscita sui CNF.
Dall’approssimativo elenco indicato si capisce che se i politicanti siciliani fossero stati, invece, veri politici e avessero speso una cinquantina di miliardi, la Sicilia sarebbe diventata una regione ricca, benestante e senza disoccupazione. Utopia? No, realismo!
