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Catania – Cemento sulla Timpa Leucatia ora la Procura apre un fascicolo

Melania Tanteri

Catania – Cemento sulla Timpa Leucatia ora la Procura apre un fascicolo

mercoledì 16 Dicembre 2009

Presunte violazioni alla normativa sulla tutela del bosco, che impedisce di costruire nelle zone di rispetto. Tre le denunce di Legambiente. Volumi maggiori di quelli preesistenti

CATANIA – Terzo atto della vicenda che vede protagonista, suo malgrado, la collina di Leucatia, conosciuta come Timpa di Leucatia, area di grande interesse naturalistico e archeologico. Dopo tre denunce alla Procura della Repubblica da parte di Legambiente, e altrettanti articoli pubblicati su questo giornale, in cui si segnalavano abusi e irregolarità relativi ad un cantiere privato, la Procura della Repubblica ha, finalmente, aperto un fascicolo sulla vicenda che vedrebbe indagate due persone. Se, infatti, nella prima denuncia Legambiente segnalava sia la violazione della normativa sulla tutela del bosco (L.r. 16/1996 e s.m.i.), che impedisce di costruire nelle fasce di rispetto, che l’esistenza, in tutta la zona, di reperti archeologici, attestati dalla stessa Sovrintendenza ai Ben Culturali di Catania, nella terza, la violazione riscontrata è quella del D.P.R. 380/2001, testo unico sull’edilizia, all’articolo 3, comma 4.
Secondo quanto dichiarato da Maria Rosa Pezzino Geronimo, amministratore unico della Dusty Immobiliare, nella Dia depositata alla Direzione Urbanistica del Comune, infatti “il progetto – è scritto nel documento – riguarda la ristrutturazione, con demolizione e ricostruzione senza modifica di volumi e superfici, di due ruderi in muratura”. Dunque, gli edifici in fase di realizzazione avrebbero dovuto essere realizzati in base a un progetto di demolizione e ricostruzione dei due vecchi edifici rurali preesistenti.
“Invece – spiega Roberto De Pietro, dell’associazione ambientalista – gli elaborati grafici progettuali reperiti da Legambiente, indicano nella planimetria dello stato di fatto, due edifici: il primo di forma rettangolare, avente le dimensioni di 7,00 m x 16,50 m e il secondo, di forma a L, scomponibile in due rettangoli dalle dimensioni di 16,33 m x 7,25 m e 6,26 m x 15,78 m”. In definitiva, l’area complessiva dei due edifici è di 332,67 m2. L’aerofotogrammetria del Comune di Catania del 2002 – continua – mostra, invece, due edifici entrambi rettangolari e quindi nessun edificio di forma ad L; da tale documento si rileva che il primo edificio rettangolare aveva le dimensioni di 5,71 m x 4,53 m e che il secondo edificio rettangolare aveva le dimensioni di 7,25 m x 11,39 m. Dunque – conclude – l’area complessiva degli edifici era di 108,56 m2”.
Che gli edifici preesistenti avessero entrambi forma rettangolare e dimensioni in pianta notevolmente minori rispetto a quanto riportato nei citati elaborati progettuali emerge chiaramente anche dall’esame delle ortofoto esistenti dell’area. In definitiva l’esame degli elaborati progettuali e delle cartografie, ortofoto e foto aeree ufficiali, dimostrerebbe che i volumi indicati come stato di fatto appaiono marcatamente maggiori di quelli preesistenti.
Sorprende, in tutta questa storia, la latitanza dell’amministrazione comunale, di fatto corresponsabile del proseguimento dei lavori in quanto li avrebbe, di fatto, consentiti. Un maggior controllo poteva, infatti, portare al sequestro dell’area prima dello scempio ambientale e archeologico ormai attuato. Ci si chiede, inoltre, quale il futuro di un bene di tutti, senza l’interessamento di Legambiente e di chi, con sensibilità, si muove per la difesa di ciò che è pubblico.

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