I cattivi politici degli ultimi decenni non sapevano come fare per aprire le maglie dell’assunzione senza concorso, ove le raccomandazioni sono modeste, e inventarono due forme per eludere la norma costituzionale: l’assunzione di dipendenti a tempo determinato, trasformatisi in precari che non si potevano mandare a casa; la costituzione di società per azioni come partecipate interamente dell’Ente, le quali, soggiacendo alle norme del Codice civile, potevano assumere chi volevano e nel numero corrispondente alla famelicità dei politici.
Cosicché, si sono formate schiere di decine di migliaia di precari nelle Pubbliche amministrazioni dei tre livelli (nazionale, regionale e locale) e sono state costituite ben ottomila società partecipate.
Per i precari, c’è una lamentazione continua secondo cui, prima o poi, essi dovranno entrare nella Pa a tempo indeterminato: questa manovra si chiama stabilizzazione.
La riforma Madia (L. 124/2015), a distanza di due anni, ha partorito undici decreti legislativi, oltre a due che sono in corso di pubblicazione sulla Guri.
Ma gli effetti di questa enorme massa di leggi non si vedono: le Pubbliche amministrazioni continuano a essere inefficienti, i bilanci non vengono redatti in base a costi e fabbisogni standard, l’organico di ognuna di esse non deriva da un Piano aziendale, con la conseguenza che vi sono dipartimenti e servizi sovraffollati e altri carenti di personale.
Proprio in questi ultimi, i dirigenti lamentano che non possono assumere persone e quindi non possono far fronte ai servizi richiesti, dimenticando però le norme sulla mobilità secondo cui dipendenti e dirigenti possono essere trasferiti da un’amministrazione all’altra, a seconda dei fabbisogni.
Il caos burocratico è al massimo livello, anche perché l’instabilità e la debolezza della politica non danno punti di riferimento, con la conseguenza che ognuno segue la prudente espressione: “Chi non fa, non sbaglia”.
La politica fragile ha ceduto le armi di fronte al becero clientelismo della Funzione pubblica e di tutti coloro che bazzicano l’ambiente e fondano il loro successo sulla cultura del favore, ignorando l’interesse generale e la sicurezza nazionale.
Si potrebbe obiettare che la sicurezza nazionale riguardi soltanto eventi terroristici. Non è così, perché quando si scardinano le strutture dello Stato, quando esse hanno una disfunzione cronica, quando non esistono più merito e responsabilità, possono succedere eventi consequenziali che mettono in pericolo, appunto, la sicurezza nazionale.
Nelle partecipate pubbliche, società costituite in house, vi è una stima molto concreta di un milione di dipendenti, che si sommano ai 3,2 milioni di quelli pubblici veri e propri a tempo determinato e indeterminato.
Tali partecipate non seguono le regole del mercato, né quelle di produttività, competitività e concorrenza. Hanno quasi tutte bilanci in rosso, fanno pagare tariffe esose, salvo quelle fissate per legge, assumono e licenziano (poco) a piacimento. Inoltre, le perdite dei loro bilanci debbono essere ripianate dalla Casa madre, con la conseguenza che bilanci di Regioni e Comuni, nonché quelli delle Province, pur sempre vive e vegete, devono mettere fra le uscite le spese conseguenti.
Ma allora, perché il proliferare di tante società per azioni pubbliche e non la creazione di dipartimenti interni, con le stesse funzioni? La risposta l’abbiamo scritta prima: perché le Spa pubbliche non hanno obbligo di assumere i dipendenti mediante concorso, non vi è limite numerico e si applicano i contratti nazionali privati. Insomma, possono fare quello che vogliono in base alle convenienze partitocratiche.
Infine, esse sono il tessuto adatto per la diffusione della corruzione, che ora è pervasa dalla criminalità organizzata.
