PALERMO – L’Alta Corte della Sicilia è uno dei simboli dell’autonomia tradita e boicottata. Le funzioni dell’organo giurisdizionale, istituito dallo Statuto siciliano, sono state assorbite dalla Corte costituzionale attraverso una sentenza (38/1957) che ha messo in discussione anni di autonomia siciliana.
Di questa autonomia tradita e dell’Alta Corte, si è ampiamente occupato Massimo Costa, docente di Economia all’Università di Palermo nel libro “Lo Statuto speciale della Regione siciliana: un’autonomia tradita” (pubblicato da Herbita editrice). Il testo, offre spunti interessanti e solleva questioni più che mai attuali in questo momento storico in cui si parla di autonomia regionale e di federalismo. L’autore accende i riflettori soprattutto su quello che rimane oggi della tanto decantata autonomia siciliana suggellata nello statuto del 1946.
La vicenda dell’Alta Corte, secondo l’autore, fu un vero e proprio “saccheggio”, un “furto” ai danni dell’Isola e soprattutto dell’autonomia.
L’obiettivo della sua istituzione, disciplinata dall’articolo 24 dello Statuto (è istituita in Roma un’Alta Corte con sei membri e due supplenti, oltre il Presidente ed il Procuratore generale nominati in pari numero dalle Assemblee legislative dello Stato e della Regione, e scelti fra persone di speciale competenza in materia giuridica), era quello di creare un organo non con competenza limitata ai conflitti tra Stato e Regioni ma con un raggio di azione più vasto che arrivasse ad identificarla con un vero e proprio sindacato speciale di costituzionalità di tutte quelle norme che si devono applicare in Sicilia, qualunque sia la fonte. Infatti, secondo gli articoli 25 e 26 dello Statuto, l’organo giurisdizionale giudica sulla costituzionalità delle leggi emanate dall’Assemblea regionale; delle leggi e dei regolamenti emanati dallo Stato, dei reati compiuti dal Presidente e dagli assessori regionali nell’esercizio delle funzioni di cui al presente Statuto, ed accusati dall’Assemblea regionale.
Questa Corte, secondo Massimo Costa, “equamente costituita, avrebbe potuto agire come la paladina della nostra autonomia. E si capisce perché, sin dal suo inizio, sia stata fieramente boicottata”.
Nei suoi 10 anni di attività, dal 1947 fino alla sentenza del 1957 che ha stabilito l’assorbimento delle sue funzioni da parte della Corte costituzionale, nella giurisprudenza dell’Alta Corte deve essere menzionata una celebre sentenza, quella del luglio 1949, con la quale essa impedì che il Parlamento italiano modificasse con legge ordinaria lo Statuto siciliano. “In gran parte delle sentenze- osserva Massimo Costa – l’Alta Corte considerava l’autonomia siciliana un patto tra due entità paritetiche, nei rispettivi ambiti di sovranità riconosciuti. Un’autonomia che funzionava, continua Costa, nonostante la sempre più aperta ostilità dei poteri forti italiani, nonostante il freno a mano tirato dalla stessa Dc autonomista di allora, obbligata a ragioni di prudenza per non spiacere alle centrali politiche romane”.
All’assorbimento delle funzioni dell’Alta Corte da parte della Corte Costituzionale si è arrivati, secondo Costa “per mezzo di una sentenza illegittima”. Un giudizio, a dire il vero, che l’Alta Corte non ha mai avallato con propria sentenza. “L’autonomia, osserva Costa è stata scippata ai siciliani con un vero e proprio colpo di stato, lasciandola nelle mani di un organo giurisdizionale (Corte costituzionale, ndr) che non è terzo e che dimostra quasi ad ogni sentenza la propria parzialità e il proprio centralismo, smantellando pezzo a pezzo l’autonomia siciliana a colpi di interpretazioni abrogative”. Ma qual è stato il ruolo della Regione di fronte a questo “golpe” politico-giuridico? “La Regione – osserva Costa- avrebbe dovuto aprire una serissima crisi istituzionale ricusando la competenza della Corte Costituzionale. Ma chi è politicamente, culturalmente e psicologicamente subalterno non è in grado di assumere tale posizione. Ci si è limitati, conclude Costa,al più, a proteste platoniche o a gesti nobili quanto isolati, quali le dimissioni del presidente Alessi, secondo cui l’Alta Corte non è stata mai abolita bensì “sepolta viva”.