Non c'è il Ponte né tutto il resto - QdS

Non c’è il Ponte né tutto il resto

Rosario Battiato

Non c’è il Ponte né tutto il resto

venerdì 15 Dicembre 2017

Corte dei Conti: società costata 1,5 mln nel 2016. Ma tra penali e spese il conto potrebbe salire a un miliardo. Ci avevano detto: niente cattedrali nel deserto. Oggi abbiamo solo il deserto

PALERMO – La Sicilia è inafferrabile anche nelle sue contraddizioni più note. Le celebri cattedrali del deserto – un mantra della riflessione sul fallimento della politica statale nel Mezzogiorno – sono diventate delle cattedrali fantasma, lasciando, di fatto, solo il deserto. È il caso del Ponte sullo Stretto, un progetto virtuale e costoso che ha già bruciato oltre 300 milioni di euro e che continua a costare circa un milione di euro all’anno per mantenere in vita la Stretto di Messina in liquidazione dal 2013. E mentre la Sicilia è sospesa in una bolla di nulla infrastrutturale, il concreto traffico merci nel Mediterraneo continua a crescere.
 
Si può discutere a lungo sulle opportunità del Ponte, sui suoi rischi, e sulle svariate posizioni che lo riguardano. Ma ci sono anche delle certezze inoppugnabili: alcune di queste le paghiamo profumatamente. Si tratta dei costi inutili, che comprendono le spese della società Stretto di Messina, costituita proprio per realizzare il Ponte, e posta in liquidazione dall’aprile del 2013, in vista dell’estinzione della società da concretizzarsi entro un anno. Eppure continua a costare annualmente circa un milione di euro, così come evidenziato dalla Sezione centrale di controllo sulle gestione delle amministrazioni dello Stato al capitolo “lo stato della liquidazione di Stretto di Messina spa”.
 
“Considerata l’assenza di attività, se non quella di resistenza in giudizio, affidata, peraltro, ad avvocati esterni – si legge nel testo della magistratura contabile –, non sono ancora stati ridotti drasticamente i costi della società, inclusi quelli degli organi sociali, che la legge, originariamente, limitava implicitamente all’anno previsto per la liquidazione. Infatti, l’onere per il mantenimento in vita della concessionaria, sceso sotto i due milioni solo nel 2015, risulta ancora rilevante, essendosi attestata, per il 2016, sopra il milione e mezzo”.
 
A questo esborso inutile, si dovrebbero aggiungere i costi capitalizzati dalla Stretto di Messina, ripresi dalla Corte dei Conti, che hanno visto 312 milioni di euro complessivamente spesi, fino al 2013, per diverse azioni, tra cui progetto definitivo, monitoraggio ambientale, aggiornamento del piano finanziario, attività per la stipula dell’atto aggiuntivo, ma anche accordi con i contraenti, aggiornamento della convenzione, gare, piano finanziario, sistemi informativi e gestionali, progetto preliminare, atti di convenzione. Tanto rumore per nulla.
 
A queste cifre cospicue, e a quelle che ancora si spenderanno per tenere in piedi la società, andrà ad aggiungersi il grande enigma del risarcimento: ballano altri 800 milioni di euro che sarebbero stati richiesti dalla cordata di costruttori guidati dalla Salini-Impregilo alla Stretto di Messina, dopo che, nel 2012, il governo Monti aveva di fatto annullato il contratto con la Eurolink. Sin dal 2014 la Salini-Impregilo, tramite le parole del suo ad Pietro Salini, ha lanciato segnali al governo: pronti a rinunciare alle penali in cambio della riapertura del dossier sul Ponte.
 
Nessuna risposta seria da parte dei governi, anche se Renzi, lo scorso anno, non casualmente nel periodo prereferendario, aveva aperto una porticina. Subito richiusa. Chi procede a passo felpato e con una certa coerenza è invece Graziano Delrio, che non ha mai dichiarato di amare il Ponte. Proprio in Sicilia, poco più di un mese fa, il ministro aveva precisato che “il vecchio progetto del Ponte sullo Stretto è morto”.
 
Al vaglio del ministero, per il corridoio Napoli-Palermo, ci sarebbe uno studio di fattibilità per valutare diverse opzioni, inclusa quella sospesa. In particolare, riporta Alessandro Arona sul Sole 24 Ore, al lavoro c’è Rfi che, su incarico del Mit, sta eseguendo lo studio di fattibilità per valutare il rapporto tra costi e benefici. Quel vecchio progetto, che nel 2011 aveva fissato la grande opera ferroviario-stradale in circa 8,5 miliardi di euro, adesso potrebbe rinnovarsi, ma tutto, come sempre, dipenderà dalla politica.
 
Un piano che potrebbe trovare ampia disponibilità dalla Regione. Nel periodo elettorale diversi sodali di Musumeci si erano esposti – alla fine di settembre Renato Schifani, inaugurando il comitato elettorale di Nino Germanà (poi primo dei non eletti), spiegava che dall’elezione di Nello Musumeci sarebbe dipeso (in bene) il destino del Ponte – e adesso è venuto il tempo di fare sul serio. Ci sarà certamente da attendere il nuovo governo nazionale – la vittoria dei 5stelle, tenaci nemici dell’infrastruttura, metterebbe tutto in ghiaccio – che di fatto dovrebbe ridare fiato al progetto con una nuova legge che la possa rimettere tra le priorità nazionali.
 
Il quadro è complesso eppure straordinariamente semplice: conclusa la realizzazione dell’alta capacità siciliana, che riguarda Messina-Catania-Palermo e che andrà ancora avanti per diversi anni (almeno fino al 2024-2025), e potenziata la rete ferroviaria tra Salerno e Reggio Calabria, resterà questo dettaglio non indifferente dell’attraversamento dello Stretto.
 
Che succederà nel frattempo? Il governo calcola e studia, mentre dal Mediterraneo passa circa il 20% delle merci su mare dell’intero globo. E l’area continua a crescere: il Canale di Suez, grande snodo nel Mediterraneo, ha superato le 16.800 navi transitate e quasi 820 milioni di tonnellate di merci trasportate. Senza considerare il piano cinese della Nuova Via della Seta, il cosiddetto “one belt one road”, che prevede investimenti miliardi per collegare Est e Ovest. Per la Sicilia, al centro del Mare Nostrum, il rischio dell’ennesimo ruolo da spettatrice, perché non ci sono infrastrutture adeguate a intercettare questo traffico che pertanto andrà a ingrossare ulteriormente i già ricchi porti del Nord Europa.
 

 
Per le merci tempi ridotti fino a un’ora e mezza
 
PALERMO – L’area dello Stretto è piuttosto trafficata, traghetti e navi lavorano incessantemente per sostenere una domanda che continua a essere in crescita. Lo confermano i numeri diffusi dall’Autorità portuale di Messina. I passeggeri, ad esempio, sono stati poco più di 7 milioni nel corso del 2016, un dato in crescita del 2,24% rispetto all’anno precedente, quando erano stati 6,8 milioni. L’ultimo dato censito è il più elevato dal 2013, ma ancora lontano dai numeri registrati, ad esempio, nel 2004 quando i passeggeri transitati erano stati più di 11 milioni.
Dallo Stretto sono passate, inoltre, quasi 6 milioni di tonnellate di merci, in crescita del 6,15% rispetto al 2015, ed è un dato molto vicino al 2012, anche se ancora distante dai numeri di metà anni duemila, quando le merci transitate erano circa 10,6 milioni di tonnellate.
Paolo Beria, professore associato in Economia dei trasporti al Politecnico di Milano, ha scritto un articolo per la lavoce.info, stimando i benefici che potrebbero derivare dalla costruzione del Ponte. Ci sono i vantaggi relativi alla lunga percorrenza in risparmio di tempo per le merci (“quantificati in 1-1,5 h per gli automezzi, rispetto ai tempi dei traghetti”) da soppesare sul “valore del tempo” e sul volume di traffico in gioco. In particolare, si considera un valore pari a 2-4 euro/ora/tonnellata, anche se si tratta di numeri “molto variabili, che dipendono dal tipo di prodotto: risparmiare un’ora per un tonno fresco o per un pomodorino di Pachino vale molto di più rispetto al risparmio per una tonnellata di benzina prodotta a Priolo”.
Ovviamente, per i passeggeri come per le merci, il Ponte non basterebbe. Serve un sistema di trasporto più organico.
 


Una storia trentennale fatta di sprechi e ritardi
 
PALERMO – Il progetto del Ponte sarà pure morto, come ha detto Delrio, ma noi continuiamo a pagare per una storia che arriva da molto lontano. Cominciamo dal decreto Interministeriale del 1985 nel quale sono assentite in concessione alla Società Stretto di Messina le attività di progettazione, realizzazione e gestione dell’opera per il collegamento stabile tra la Sicilia e il Continente. Bisognerà attendere il 2001 per la delibera Cipe n.121 che definisce l’opera “ponte sullo Stretto di Messina” come già avviata con legge propria con rilevanza nazionale. Per rintracciare il quadro aggiornato del costo bisogna ricorrere al database Silos (sistema informativo legge opere strategiche) della Camera dei deputati. Al dicembre del 2012 l’ammontare complessivo era stimato in 8,5 miliardi di euro.
Il procedimento è stato poi “interrotto” con una procedura che ha avuto inizio con il decreto interministeriale n.405 del 16/11/2012 che di fatto ha revocato i finanziamenti per il Ponte. In seguito sono stati presi altri provvedimenti che hanno portato alla liquidazione della società Ponte sullo Stretto, che ancora paghiamo. Da valutare ancora l’ammontare delle penali che potrebbero arrivare fino a 800 milioni di euro.
In attesa del nuovo studio di fattibilità, e quindi delle nuove prospettive di spesa, è sufficiente comunque ricordare che col progetto passato lo Stato non avrebbe dovuto spendere l’intera cifra, ma, tramite project financing, limitare la quota di capitali pubblici a circa 2 miliardi.
E mentre l’Italia non trova soluzioni, altrove si procede. In Turchia l’ultimo ponte sul Bosforo è stato inaugurato circa due anni fa dopo più di due anni di lavori per un’opera ingegneristica senza precedenti col peso determinante di due aziende italiane, come la fonderia acciaieria Cividale e il gruppo Astaldi.

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